venerdì 24 luglio 2009

Gli avanzi del "Nuovo"

Subito dopo Mani Pulite si parlava tanto del “Nuovo che avanza”; si pensava ad una nuova stagione della politica in Italia, alla fine dell’assuefazione al regime corrotto del “mi manda il dott. Tale…”, “sono amico di…”, degli amici degli amici ecc… Si sperava che, non avendo le inchieste colpito significativamente la Sinistra, questo, insieme alla fine della Guerra Fredda, avrebbe finalmente aperto le porte del governo per quest’altra parte politica che tanto pazientemente aveva aspettato per oltre quarant’anni. Si credeva, insomma, di voltare pagina, come s’è detto, da una “prima” a una “seconda” repubblica.
Nel decennio craxiano, i partiti si erano ritrovati finalmente liberi dalla fase del ’68 e degli anni ’70, in cui per l’ultima volta – almeno finora – il confronto/scontro politico verteva veramente su progetti alternativi di società ovvero in cui si trattava davvero di cambiare le cose e quindi c’era ancora un’ampia partecipazione popolare di tesserati e militanti a cui i leader dovevano rispondere. Finalmente liberi, dunque, questi hanno potuto dedicarsi alla “stabilità”, intesa come spartizione del potere e dei suoi vantaggi distribuiti con precisione, prima proporzionale e poi maggioritaria (anche se, poi, all’interno di schieramenti e coalizioni, ancora proporzionale: …alla fine ci si aggiusta sempre e qualcosa ci dev’essere per tutti).
La fase paludosa del sistema di cui Craxi fu il simbolo, collassato con Mani Pulite, diede il via a quella disillusione e tendenza “antipolitica”, la cui onda lunga va crescendo ancora oggi, per la quale molti credono che un requisito necessario per essere un buon politico sia quello, sostanzialmente, di non esserlo affatto.
Questa credenza (e la delusione post anni ’70 che la alimenta) è stata abilmente sfruttata sia da Berlusconi, accreditatosi al rango di statista per il fatto stesso di essere un uomo d’affari “sceso in campo”, che – meno abilmente – dai leader della Sinistra, impegnati nel frattempo a diluire l’identità e la forza del più grande partito comunista dell’Occidente in misura tale da farne rimanere ormai (nell’attuale ultimo stadio di diluizione, detto PD) solo una quantità omeopatica – che, in quanto tale, come è noto, serve ad ottenere l’effetto opposto a quello della sostanza originaria.
Anche la Sinistra, occupando progressivamente ampie fette di potere locale, si è fatta in parte impresa: una rete di imprese cooperative e non dalle quali dipendono molte persone, carriere ed interessi e così, i leader, sempre più liberi da uno scomodo confronto sul piano schiettamente politico con una base non più partecipante – e vivendo di rendita del presunto pericolo berlusconiano e relative derive autoritarie – hanno portato la loro politica su un piano sempre più tecnico.
Da questo punto di vista ciò che emerge come “nuovo” nella Sinistra è essenzialmente l’equazione tra la semplice capacità di vedere e dire le cose come stanno (e poi agire coerentemente) e l’ideologismo (dato come anticamera certa della violenza). L’assumere (nei fatti) questa equazione come credo ufficiale avrebbe dovuto (nelle loro intenzioni) accreditarli come affidabili governanti agli occhi degli elettori di centro e far di loro i leader di un paese finalmente diventato “normale” dopo tanta lunga attesa.
Nei fatti questi leader sono attualmente, con la loro – peraltro fallimentare – attenzione ad eliminare tutto ciò che dal proprio interno potrebbe allontanarli dall’accesso al governo – salvo dimenticare ciò che lo fa dall’esterno – i più diretti eredi della prima repubblica, tutti attenti agli equilibri e alle percentuali come materia di competenza per addetti ai lavori e convinti che le etichette di “destra” e “sinistra”, di “democratici” e non so cos’altro debbano bastare alla massa dei votanti. Della prima repubblica la cosidetta Sinistra attualmente riunita nel PD (ultimo approdo di questo “realismo” che avrebbe dovuto portare a sostituirsi alla DC nella guida del paese – dopo un quarantennio di opposizione fissa – ed ha finito per fondersi con ciò che ne restava fino quasi a tentare di resuscitarla) ha mantenuto l’attitudine alla politica come a un impiego a vita e la logica delle bandierine sui posti da occupare e del bilancino nei conti sul dare e l’avere per accontentare quanti più possibile (avversari compresi) e mantenere lo status quo.
Il vero fenomeno nuovo (ma non per questo tale da costituire un miglioramento) sulla scena dopo Mani Pulite – e colui che sull’antipolitica ha inventato una forza di governo – è Berlusconi (la Lega è anche nuova, a modo suo, ma per sua natura necessariamente complementare, a livello nazionale, a chi può veramente costituire un governo, e Fini – l’unico politicamente presentabile all’interno del suo partito - fa da quasi un ventennio come le remore, quei pesci che si attaccano al dorso dei grandi squali e si fanno trasportare fino al punto in cui vogliono arrivare – in questo caso il momento in cui bisognerà trovare un nuovo capo per una forza del 40% rimastane priva – non male per uno che era partito dal 10% del MSI).
Però, se la mitologia fondante della cosidetta “seconda repubblica”, con Mani Pulite, dipingeva un mondo in cui il malaffare non avrebbe più sostenuto la politica, il salto di qualità che effettivamente c’è stato, è andato decisamente in direzione contraria. L’era Berlusconi ha dimostrato come ciò che l’ha preceduta fosse ancora in una fase dilettantesca in cui si dava un colpo al cerchio dell’interesse del partito ed uno alla botte delle proprie tasche. Mentre l’esito maturo del passaggio che stava avvenendo allora (certo, in direzione opposta alle intenzioni dei magistrati allora protagonisti) si mostra oggi come una fase ben più professionale ed avanzata, in cui, l’intreccio improprio tra affari e politica, da occasionale – ancorché frequente - è diventato sistemico, fino all’attuale ribaltamento per cui è il partito-azienda ad essere lo strumento operativo di una politica diventata mezzo per sostenere i propri interessi, anche quelli non possibili, dato che li si rende tali, eventualmente, cambiando le leggi.
Ciò per cui il vero “nuovo” è stato Berlusconi, è che ha incarnato e reso esplicito quello che, prima dissimulato pudicamente dietro ideologie di facciata, è sempre stato il sogno di molti italiani, “buoni” per tutte le stagioni, che ragionano di panza e di orgoglio, bramosi di successo (o, almeno, di essere gli spettatori di quello di qualcun altro in cui si identificano e che cercano di imitare, per quanto nel loro piccolo). Gente che intende la “concretezza” non come attinenza alla realtà pratica, ma come qualcosa che dia un ritorno immediato, senza curarsi di ciò che verrà.
Il trionfo di tanta pochezza – tale da far rimpiangere (per lo stile, se non altro) gli Andreotti e persino i Fanfani (fino a i Cossiga il rimpianto non arriva: c’è un limite a tutto) anche a chi era abituato a considerarli il diavolo in persona – ha però un presupposto e cioè la disillusione e il venire meno di riferimenti ideologici autentici o, più ampiamente, di qualcosa di forte e fondante in cui credere.
Non si può imputare questo solo a Berlusconi – che ha pure sprofondato la sensibilità culturale degli italiani con le sue reti Mediaset (cosa che rimarrà come il suo danno più duraturo) – anche perché non è certo il volare alto ciò che lui ha mai venduto.
Stava alla Sinistra proporsi come contraltare richiamando e richiamandosi ad una pregnanza di significato di fronte alla quale la pochezza dell’avversario sarebbe dovuta apparire per ciò che era. Non era sul piano della diluizione dei contenuti che si poteva contrastare Berlusconi: lui era già un bel pezzo avanti in partenza quanto a questo.
Era su un ben altro tipo di concretezza che bisognava sfidarlo, anziché richiamarsi a moralistici valori tra i quali la moderazione ad oltranza e l’incapacità nell’opporsi seriamente a nulla sono diventati, col “buonismo veltroniano”, degli ideali in sé stessi, segni distintivi del cittadino maturo, politicamente corretto, che vive nel progresso realizzato, pluralista e pacificato del paese finalmente “normale”. Non essendoci più – in un tale paese – alternativa sulle questioni di fondo… non c’è neppure più bisogno di una Sinistra. L’accettazione del modello (pseudo)bipartitico panmoderato americano è di fatto il pensionamento della Sinistra e delle sue ragioni. E’ forse il destino di tutte le società capitaliste avanzate da un certo grado di sviluppo in poi (e fino a che le contraddizioni spostate fuori dai loro confini non arriveranno a presentare un conto non onorabile).
Ma ciò che (nel frattempo) non è accettabile è che i leader di una parte politica, che essi stessi hanno portato al pensionamento, restino attaccati al posto che occupano grazie alla forza d’inerzia di un passato rinnegato nei fatti, del timore di un futuro presentato a tinte fosche, ma che si cerca solo di stemperare e non di impedire alla radice, e soprattutto grazie al non essere conseguenti con le nuove ere di apertura alla partecipazione della “società civile” ripetutamente annunciate (ad ogni cambio di nome e nuova versione del partito) ma mai veramente praticate (tanto è vero che i nomi sono sempre gli stessi – non parliamo dei programmi per non entrare in nebulose indecifrabili buone a dire e/o a non fare tutto e il suo contrario, secondo i casi).
Il recente tentativo di candidatura alla segreteria del PD da parte di Beppe Grillo è una provocazione che arriva a togliere l’ultima foglia di fico rimasta a coprire un re (democratico) ormai nudo. La motivazione con cui questo tentativo è stato impedito, ovvero quella di appartenere ad un’altra forza politica, è chiaramente pretestuosa (vedi pure: “L’autodistruzione del PD” di Marco Travaglio su www.beppegrillo.it), specie di fronte al panorama del mercato politico italiano in cui il nomadismo transpartitico è all’ordine del giorno all’insegna della ferma coerenza con l’unico principio non negoziabile: quello di non rimanere mai senza poltrona.
Se il PD, e il seguito di cui godono i suoi leader, è qualcosa che esiste, Grillo perderebbe clamorosamente la gara, dimostrando così la lontananza delle sue proposte e della sua figura dall’elettorato di centro-sinistra. Se, viceversa, il comico genovese dovesse vincere o ottenere un ottimo risultato, il cambiamento che ne risulterebbe potrebbe essere l’autentica salvezza per il PD e soprattutto per il tipo di forza che dichiara di voler rappresentare.

In assenza di un quantomai necessario ripensamento profondo e rifondante che restituisca una base teorica seria sulla quale poter costruire progetti politici alternativi al sistema dominante, una “concretezza” valida ed utile, può essere quella proposta da Grillo e i suoi meetup, che si limitano a puntare su una serie di punti chiari e praticabili sui quali può convergere l’appoggio di persone “di buona volontà” provenienti da diverse tradizioni politiche.
Invece, e purtroppo, si sente ancora discutere se Beppe Grillo è “di sinistra” o no e lo si etichetta di “antipolitica”, mentre non ci si rende conto che, in quest’epoca di scarsissima motivazione e partecipazione popolare, la politica si divide sempre più tra, da un lato, quella ufficiale e di potere, per la quale basta in sostanza un solo schieramento – e non serve che sia “di sinistra” – dato che deve essenzialmente dar seguito alle linee guida dettate dagli interessi dei grandi gruppi della finanza internazionale e, dall’altro, quella dei vari gruppuscoli e movimenti che raccolgono la rabbia di chi in queste linee guida non è contemplato: i necessari emarginati e le inevitabili vittime delle frequenti “ristrutturazioni”. Non più proletari dotati di una coscienza di classe radicata nell’essere una indispensabile forza-lavoro, ma diseredati, superflui perché perfino troppo scarsi come consumatori, a cui non resta che un senso di inutilità e di inadeguatezza di fronte agli obbligatori sogni patinati a cui non hanno accesso. Anche per incanalare la loro rabbia non servirà – a quel punto – una Sinistra: perché nel dare risposte semplici ed immediate (per non dire elementari e primitive) a situazioni complesse, l’estrema destra fascistoide è e rimarrà sempre insuperabile.

Per chi una volta si riconosceva in quella che era la Sinistra, la situazione attuale è grave (non c’è bisogno che lo dica io).
E’ tempo di ripensare integralmente i propri presupposti. E di non dare più la propria fiducia a chi crede di meritarla solo per “diritto acquisito”, non più a questi avanzi di un “nuovo” mai arrivato.

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