giovedì 6 agosto 2009

Un articolo dal sito della DecrescitaFelice (www.decrescitafelice.it)

Faccio una eccezione al mettere sul Blog solo cose scritte da me per riportare questo intervento di Roberto Spano al convegno del IRS in Sardegna che ho preso dal sito www.decrescitafelice.it e che trovo pienamente condivisibile e da diffondere.



di Roberto Spano

Di seguito il testo dell’intervento presentato da Roberto Spano a Milis (OR) il 25 Luglio scorso durante Festa Manna, l’appuntamento annuale organizzato da IRS, il movimento indipendentista sardo di ispirazione gandhiana e pacifista.

- Buongiorno a tutti, grazie per avermi invitato a questo evento e vorrei subito fare le più sincere congratulazioni a IRS e a tutti gli organizzatori di questa bellissima Festa Manna, e in particolare per aver voluto introdurre nel calendario dei dibattiti e degli incontri anche il tema delle “Economie Differenti”.

Mi chiamo Roberto Spano, sono di Orroli e in questa sede rappresento MDF, il Movimento per la Decrescita Felice che si pone lo scopo di introdurre nel dibattito politico il tema appunto della Decrescita economica, cioè di quel nuovo paradigma culturale che va a proporsi come una concreta alternativa e soluzione ai disastri (economici, occupazionali,ambientali, sociali e climatici) causati dal mito della crescita economica e dell’aumento del PIL.

Prima di entrare nel merito della proposta di MDF vorrei subito portarvi i saluti di Maurizio Pallante, fondatore e attuale presidente del Movimento per la Decrescita Felice, che non ha potuto materialmente essere presente oggi qui per altri impegni, nonostante il grande interesse che nutre per la Sardegna e per le possibilità che la nostra terra possa divenire davvero un laboratorio politico e pratico della Decrescita. Pallante conosce bene la nostra terra per esservi venuto molte volte partecipando a dibattiti e convegni sulla Decrescita. Anche recentemente è stato in Sardegna due volte, una a fine maggio per una serie di conferenze organizzate dall’Università di Cagliari e di Sassari e poi ancora a fine giugno a Gavoi, invitato dagli organizzatori del Festival Letterario per commentare assieme ad Ermanno Olmi il documentario “Terra Madre”, l’ultimo lavoro del grande regista bergamasco.

Ora proverò ad introdurre il concetto della Decrescita Felice, partendo anche dalla mia esperienza personale, ma vi invito ad approfondire il tema leggendo le pubblicazioni di Pallante e gli altri lavori editi da MDF che rappresentano le fonti principali di questo mio intervento.

La base teorica del concetto di Decrescita Felice muove dalla consapevolezza che il PIL è uno strumento assolutamente incapace di misurare il benessere (o se vogliamo… la felicità) delle persone.

Che il PIL non misuri la felicità delle persone non è certo un’idea originale di MDF, se pensiamo che già nei primissimi anni ’60, pochi mesi prima di essere assassinato, J.F. Kennedy pronunciava il suo famosissimo discorso dove affermava a chiare lettere che “…il PIL è in grado di misurare di tutto ma non quello che è davvero importante per noi come esseri umani.”

Allora chiariamo subito: il PIL non misura la ricchezza di uno Stato, non misura il benessere della popolazione, non misura la qualità della vita di una comunità. Il PIL misura solo la quantità di merci e servizi scambiati per denaro in un dato territorio per unità di tempo (in genere un anno).

Ma cosa significa questo? Significa che se ad esempio si realizza una speculazione edilizia su una pianura fluviale fertilissima come quella di Capoterra, cementificando selvaggiamente ottimi terreni agricoli e trasformandoli in schiere di villette e quartieri residenziali e dormitori… noi stiamo aumentato il PIL perché i guadagni dei proprietari dei terreni che hanno venduto, i profitti dei palazzinari che hanno edificato e i salari degli operai che hanno lavorato, risultano maggiori rispetto alla resa economico/monetaria di quelle stesse terre se fossero state invece coltivate per produrre cibo fresco, sano e vicino alla città.
Se poi Cagliari e tutto il Campidano hanno perso migliaia di ettari di terreno agricolo e per sfamare tutta la popolazione residente si deve ricorrere all’importazione di cibo da fuori … bhè il PIL cresce ancora. Se poi si è anche deviato il corso naturale di un fiume e si è costruito anche sopra i nuovi argini artificiali (il terreno edificabile vale tanti soldi e non se ne può sprecare neanche un metro quadro) e succede una alluvione che fa straripare il fiume, che abbatte gli argini e, riprendendosi il suo corso naturale, distrugge, allaga e rende inagibili centinaia di abitazioni e rende “senza tetto” migliaia di persone…. bhè… grande soddisfazione perché il PIL cresce ancora e tantissimo!!! Basti pensare alle enormi somme che verranno spese in movimento terra, ricostruzioni, ristrutturazioni, riurbanizzazioni, impiantistica, alloggio negli alberghi degli sfollati, riacquisto di tutte le suppellettili, mobili, elettrodomestici, vestiti, automobili e quant’altro andato distrutto nell’alluvione. Che pacchia per il PIL!!! Pensate se il comune di Capoterra nel ’69 avesse resistito alle pressioni degli speculatori e avesse negato l’urbanizzazione di quei terreni… quanta ricchezza avrebbe fatto perdere!!!

O ancora: se una petroliera rovescia il suo carico di petrolio in mare… il PIL cresce con le operazioni di bonifica. Se a causa del traffico eccessivo nelle strade accadono incidenti… il PIL cresce col lavoro dei carrozzieri (e col trasporto dei pezzi di ricambio, visto che ormai non si ripara più nulla, ma si sostituisce tutto). Se poi grazie al traffico si creano ingorghi che ci tengono incolonnati in fila col motore acceso a fare pochi metri all’ora… il PIL cresce col consumo di carburante. E se poi a causa di tutto il veleno che respirano, molte persone si ammalano di bronchiti croniche e tumori…. dobbiamo festeggiare perché il PIL cresce tantissimo col lavoro degli ospedali e i profitti delle casa farmaceutiche.

Gli esempi possono continuare all’infinito e ognuno di noi può “divertirsi” a trovarne tanti, ma il concetto è sempre lo stesso: nonostante quello che viene ripetuto in continuazione, il PIL non misura il benessere della popolazione ma solo (ripetiamolo) il valore monetario della somma delle merci e dei servizi scambiati sul mercato.

E qui arriviamo a un concetto che invece questo si è una elaborazione originale di MDF: la differenza profonda che vi è tra Beni e Merci.

Le merci come abbiamo visto sono manufatti o servizi che hanno un valore monetario ma a cui non corrisponde automaticamente un corrispettivo benessere delle persone. Anzi, anche dagli esempi appena fatti e da quelli che state divertendovi a immaginare, capiamo che troppo spesso le merci corrispondono invece a una diminuzione della qualità della nostra vita.

I beni invece sono quei manufatti, quei prodotti e quei servizi che soddisfano direttamente un bisogno o un desiderio delle persone, senza necessità di un’intermediazione monetaria. I pomodori autoprodotti nel mio orto (è un esempio reale) soddisfano il bisogno e il desiderio di cibo sano e gustoso per me e la mia famiglia, ma non ho avuto bisogno di comprarli con denaro. Quando il mio bambino gioca con i nonni perché i genitori sono impegnati nel lavoro e nell’autoproduzione, e quando i nonni hanno bisogno di assistenza perché gli acciacchi dell’età arrivano per tutti, noi non abbiamo bisogno di spendere soldi ne per l’asilo nido ne per la badante, perché siamo autosufficienti e ci scambiamo vicendevolmente servizi (di qualità sicuramente superiore rispetto agli stessi servizi svolti da professionisti che lo fanno in cambio della parcella) in una dimensione conviviale e di dono reciproco.

Ecco quindi due elementi fondanti la proposta della Decrescita Felice: l’autoproduzione e lo scambio comunitario, conviviale e quindi non mercantile.
Poi è chiaro che ci sono beni che non posso ne autoprodurre ne scambiare, pensiamo agli occhiali per noi miopi, a un computer, o a una visita medica specialistica, che devo quindi necessariamente procurarmi sotto forma di merci. Ma appunto capiamo che la sfera mercantile è si necessaria, ma non “necessariamente” invasiva e totalizzante come la nostra società che si basa sul mito della crescita ci ha praticamente costretto a credere.

Se volessimo visualizzare graficamente questi concetti potremmo pensare a tre cerchi concentrici, in cui quello più interno è costituito dall’autoproduzione, quello intermedio dal dono e dallo scambio non mercantile e infine, quello più esterno dagli scambi mercantili. Cosa è successo, diciamo negli ultimi due secoli, con un’accelerazione impressionante negli ultimi 50 anni? È successo che il cerchio più esterno ha fagocitato quasi del tutto gli altri due cerchi interni. Per cui oggi, a parte la preparazione dei pasti (ma con quali cibi?), la pulizia della casa e i servizi essenziali ai figli, praticamente una famiglia mononucleare, che viva in un condominio urbano, con magari entrambi i genitori occupati, dipende totalmente dal denaro per procurarsi il necessario (e il superfluo) per vivere. Non c’è tempo per lavare l’insalata (e la si compra a prezzi altissimi già lavata e plastificata, assieme a salti in padella e pane gommato nei centri commerciali) figuriamoci per autoprodurla! E in quali terreni poi, se la speculazione cementizia, fondamentale per la crescita del PIL, ha lasciato giusto qualche striminzito giardinetto pubblico dove crescono rigogliose solo le siringhe usate?

E tutto questo perché? Perché nella società che si basa sulla crescita economica e quindi sulla necessità di comprare con soldi tutto quello che serve… le persone “devono” essere occupate solo a “vendere” il loro tempo/capacità in cambio di denaro per poter comprare sotto forma di merci (di qualità inferiore) quei beni e servizi che non hanno il tempo e la possibilità di autoprodursi o di scambiarsi convivialmente perché… devono lavorare! Non sembra anche a voi che ci sia un corto circuito logico?
E se consideriamo che questa folle quantità di attività economiche, necessarie alla crescita è la prima causa dello sconvolgimento planetario del clima (con l’iper produzione di CO2) e del deterioramento gravissimo dell’ambiente naturale, non vi sembra che il corto circuito logico sia ancora più grave?
E se consideriamo che facciamo una vita stressante, soffocante, mangiamo cibo precotto e importato di nessun sapore e ancora minori capacità nutritive, passiamo ore e ore in auto in mezzo al traffico, lasciamo i nostri figli e i nostri genitori con estranei salariati, ci ammaliamo di più e consumiamo quantità record di antidepressivi e ansiolitici…. Non vi sembra che il corto circuito logico assomigli sempre di più alla bottiglia di Tafazzi?

Ma, qualcuno potrebbe obiettare, la crescita economica ha portato occupazione per tutti… A parte il fatto che inviterei quel qualcuno ad andare a dirlo ai cassintegrati di Porto Vesme, di Porto Torres, di Ottana. Ai minatori del Sulcis. Ai laureati con 110 precari nei call center. Agli artigiani e ai commercianti che chiudono bottega e attività. Ai giovani e meno giovani disoccupati e ciondolanti nelle strade e nei bar dei paesi e delle città, attenti solo a non perdersi il mese di “Lavori Socialmente Utili” benevolmente finanziati da sindaci e consiglieri in fregola elettorale… Che ci vada a dirlo che la crescita economica ha dato occupazione a tutti… non garantiamo certo per la sua incolumità! Ma aldilà degli esempi empirici (che però sono sotto gli occhi di tutti) sono proprio i numeri ufficiali dell’Istat a smentire questa menzogna. In Italia (mi perdonino gli amici di IRS se faccio quest’esempio…) dal 1960 al 2000 il PIL (calcolato a prezzi costanti) è più che triplicato passando da circa 400mila miliardi di lire a circa 1.400mila miliardi, la popolazione è aumentata del 15% (da 50 a 60 milioni), ma il numero di occupati è rimasto identico intorno ai 20 milioni! In pratica, un aumento così alto del PIL (il triplo), non solo non ha fatto crescere l’occupazione in termini assoluti (ferma a 20 milioni), ma addirittura l’ha fatta diminuire in percentuale, dal 41,5 (1960) al 35,8 (2000) della popolazione. In pratica si è avuto solo un passaggio di occupati dall’agricoltura all’industria fino agli anni ’70 e un ulteriore passaggio dall’industria ai servizi dagli anni ’80 a oggi. Bel progresso… così adesso invece del grano coltivato in Pianura Padana o in Trexenta, mangiamo grano transgenico prodotto industrialmente in Cina o in Ucraina, trasportato con enorme consumo di petrolio, e coltivato sfruttando vergognosamente manodopera locale che, da piccoli contadini autonomi e autosufficienti, sono stati trasformati in braccianti agricoli salariati e incapaci ormai di provvedere dignitosamente alle esigenze della loro famiglia. Che quindi lasciano le loro terre e preferiscono affrontare i rischi della clandestinità (e oggi anche delle pene inflitte dal governo italiano per il reato omonimo) sperando di trovare occupazione salariata in quelle fabbriche e quei capannoni della Pianura Padana, o della Trexenta, o di Perd’’e Cuaddu a Isili che hanno si preso il posto dei terreni agricoli… ma che adesso sono chiusi (con tutte le conseguenza di inquinamento ambientale che sappiamo) per la saturazione del mercato che non è più in grado di assorbire la folle corsa alla produzione infinita che esige la società basata sulla crescita economica.

Allora stiamo cominciando a metterci almeno il dubbio che la crescita economica sia l’inevitabile strada da percorrere per il nostro benessere, così come politici, banchieri (ad eccezione dell’amico di Banca Etica) e speculatori, col supporto massiccio dei mass-midia e delle istituzioni, si affannano a farci credere?

Iniziamo a capire che l’attuale crisi economica non è un evento congiunturale, dovuto a cause accidentali che può essere superata con l’incoraggiamento a “spendere e consumare di più per dare slancio all’economia”? Lo stiamo capendo che questa crisi è strutturale e che le sue cause sono tutte interne proprio al suo caposaldo della crescita infinita? Questa crisi, non è solo una crisi della finanza come vogliono farci credere minimizzando il problema e spostando l’attenzione sulle virtù auto rigeneratrici della c.d “economia reale”. Cioè sull’economia del mattone e del bullone, cioè sull’economia della produzione e vendita di merci. Questa crisi è prima di tutto una crisi proprio dell’economia reale dovuta alla sovrapproduzione di merci rispetto alle capacità di assorbimento di un mercato ormai saturo. I cosiddetti mutui “subprime” che sarebbero secondo gli analisti la causa scatenante della crisi, scaricandone le responsabilità solo sulle banche che concedevano mutui per l’acquisto di case anche a soggetti incapaci di restituirli e poi rivendevano il titolo drogato ad altre banche più ingenue, sono in realtà dovuti alle pressioni del mercato edile americano che stava rallentando perché nessuno comprava più casa, perché non ce era più bisogno. Gli Stati Uniti sono il territorio più cementificato del mondo. Ma.. se non si comprano più case… l’economia rallenta, il PIL scende e i profitti degli speculatori diminuiscono! Prospettiva terrificante in una logica di crescita. Ecco quindi le pressioni sulle banche per “facilitare” le concessioni di mutui che avrebbero fatto ripartire ruspe e cantieri. E la globalizzazione ha fatto il resto.

D’altronde non servono complicati calcoli con logaritmi di terzo grado, ma basta l’aritmetica che si studia in terza elementare per capire che, in un sistema a risorse limitate come il nostro pianeta, non è possibile una crescita infinita. Ma forse proprio perché così evidente, è un concetto difficile da accettare.

La crisi attuale è una crisi assieme economica, ma anche ambientale e climatica legate assieme. Cioè stiamo correndo follemente verso il baratro dell’autodistruzione planetaria, continuando per giunta ad accelerare!

Quando si fanno paragoni e paralleli con la famigerata crisi di Wall Street del ’29 dobbiamo sapere e capire che sono paragoni inadeguati… ma per difetto!!! Cioè la crisi del ’29 era una crisi infinitamente meno grave di quella che stiamo attraversando oggi, perché si limitava solo alla sfera economico/finanziaria e non coinvolgeva anche l’ambiente e il clima. E quindi anche le soluzioni non possono essere le stesse. Se nel ’29 fu possibile mettere una toppa con interventi macroeconomici di ispirazione keinesiana, oggi non è più possibile, nonostante che i governi (specie quelli di destra, dall’attuale italiano al precedente americano) invochino ora (ma la destra non era per il libero mercato???) interventi statali e assistenziali per finanziare con soldi pubblici la ripresa dell’economia a partire dall’edilizia (abitativa e infrastrutturale come le c.d. Grandi Opere) e dall’industria automobilistica.

Oggi questi interventi non sono più possibili. Mettiamocelo bene in testa. Chi sostiene questi interventi è un folle (perché sarebbero inutili) e un criminale (perché produrrebbero solo un accelerazione verso la distruzione del pianeta e della vita nella biosfera).

Oggi la popolazione mondiale consuma con le proprie attività economiche un terzo in più delle risorse che il nostro pianeta sia capace di riprodurre in un tempo dato. Cioè ogni anno noi consumiamo un terzo di pianeta in più di quello che potremmo permetterci. È come se una famiglia di quattro persone, con un reddito mensile di €1000 ne spendesse regolarmente 1.300 ogni mese. Noi tutti capiamo che quella famiglia, continuando a intaccare così pesantemente i propri risparmi (invece di vivere delle sue risorse rinnovabili) andrà ben presto in rovina. Quindi, se spostiamo l’ordine di misura dal singolo nucleo familiare, all’intera popolazione mondiale, capiamo che per la prima volta dall’esistenza dell’uomo sulla terra, stiamo mettendo a gravissimo rischio la nostra stessa possibilità di sopravvivenza. Ma non è tutto! La situazione è ancora più grave di quello che si possa credere, se consideriamo le vergognose disuguaglianze che si celano dietro a questo dato aggregato. In realtà è come se dei € 1.300 che la nostra famiglia di quattro persone spende ogni mese… 1000 li spendesse da solo un unico componente, mentre gli altri tre ne spendessero assieme appena 300. E’ una follia vero? Eppure questa è la realtà! Il 25% della popolazione mondiale (noi occidentali sviluppati tanto per capirci) consuma da sola il 75% delle risorse totali, mentre il restante 75% di popolazione (più di 4 miliardi di esseri umani) accede appena al 25% delle risorse.

Cosa fare allora? È possibile secondo voi proporre come soluzione che anche gli altre 3 familiari consumino € 1000 ciascuno portando il fabbisogno della famiglia a € 4000/mese (ricordiamo che le risorse utili sono sempre 1000/mese)? Chiaramente no!! Qualunque persona di buon senso capisce che questa soluzione non farebbe altro che accelerare la rovina economica di quella famiglia. Eppure, per quanto incredibile, per quanto folle, per quanto criminale, questa è la soluzione che governi, partiti di destra e di sinistra, istituzioni, banche, organizzazioni sindacali, datoriali e Ong, mass media e lobby economico/finanziarie continuano a chiedere a gran voce per risolvere la crisi economica della “famiglia/mondo”.

Il Movimento per la Decrescita Felice propone invece come soluzione, immediatamente attivabile, facile da realizzare e soprattutto efficace, l’uscita dalla prigione concettuale della crescita infinita e omnicomprensiva per ridurre (non eliminare!!) la sfera degli scambi mercantili (e quindi del PIL) e aumentare di dimensione ed importanza le sfere dell’autoproduzione (a partire dal cibo e dall’energia) e degli scambi non mercantili o del dono.

Avere meno bisogno di denaro per comprare tutte quelle merci che invece mi posso autoprodurre (ad esempio con l’orto/frutteto in terra e col fotovoltaico sul tetto) o scambiare sotto forma di dono reciproco nella mia comunità o di organizzazioni conviviali come i GAS, significa avere meno bisogno di svolgere un lavoro retribuito e quindi avremo un alleggerimento della pressione occupazionale.
Facciamo un esempio pratico: in Sardegna risultano “occupati” (comprendendo sia i lavoratori dipendenti pubblico/privati che i liberi professionisti e gli imprenditori) circa 520/550mila persone, mentre i “disoccupati” risultano essere circa 150/180mila. È facile capire che se appena 200mila “occupati” potessero permettersi di lavorare part-time perché la metà dei loro fabbisogni li soddisfano con l’autoproduzione e col dono reciproco… ecco risolto facilmente (e a costo zero) il problema della disoccupazione in Sardegna che invece sindacati, partiti, chiesa e istituzioni fanno apparire come angosciante, irrisolvibile, difficilissimo e gravissimo. E necessitante di ingenti investimenti, arditi piani di sviluppo, folte commissioni d’inchiesta e parcelle d’oro a “think tank” di consulenti cervelloni che, magari dal ritiro dorato di convegni in lussuosi resort della costa a spese di Mamma Regione (cioè di noi poveri indigeni/indigenti), sentenziano che l’unico modo per uscire dal grave sotto sviluppo che attanaglia (secondo loro geneticamente) noi poveri sardi.. è quello di far crescere il PIL con forti iniezioni di cemento per nuove case vuote e hotel super accessoriati da usare due mesi all’anno, e per nuove zone industriali con tanti capannoni di ferro ed eternit che, oltre agli ingenti finanziamenti pubblici concessi ai generosi imprenditori milanesi, arabi e americani che graziosamente accettano di venire in Sardegna a “creare lavoro”, produrranno tanti cassintegrati che così avranno il diritto di protestare, guidati dagli eroici sindacati, a chiedere anche loro un bel posto pubblico in Regione, magari in uno dei tanti enti parassitari che si era cercato di chiudere e che pare invece stiano riaprendo i battenti.

Riusciamo a capire quanto sia folle questa soluzione? Ma lo capiamo che, rimanendo dentro la sfera drogata dell’imperativo alla crescita costante e infinita del PIL, è l’unica soluzione che riescano a dare? Ma allora dobbiamo spezzarla questa sfera maledetta. Romperla in mille pezzi e liberare le energie pulite, sane e rinnovabili della Decrescita. Partendo dal risparmio e recupero degli sprechi che invece oggi rappresentano una delle voci più importanti nella formazione del PIL. Pensiamo solo agli sprechi energetici delle nostre case mal coibentate e riscaldate con combustibili fossili. In Italia per riscaldare gli edifici si consumano 200 chilowattora al metro quadrato all’anno. La normativa in vigore nella provincia di Bolzano e in altri paesi europei (freddi come la Germania e la Svezia!!!) non consente di costruire nuovi edifici o di ristrutturare gli edifici esistenti se il loro consumo ne richiede più di 70 (quindi appena 1/3), ma già oggi le tecnologie più avanzate permettono di costruire case che non richiedano più 15 kwh (quindi 1/15)! Questo vuol dire che noi sprechiamo (quindi paghiamo, e quindi abbiamo “bisogno” di lavorare per procurarci i soldi) almeno i 2/3 dei combustibili che bruciamo per riscaldare la nostra casa. Cioè paghiamo fior di quattrini, procurati magari con un lavoro odioso e usurante, per qualcosa di cui non godiamo perché 2/3 dei combustibili che bruciamo, invece di riscaldare la nostra casa vengono dispersi nell’atmosfera e riscaldano il cielo sopra di noi (oltre ad aver prodotto 2/3 di Co2 in più del necessario). Questo spreco di calore non ci porta alcun vantaggio, anzi ci danneggia perché ci sottrae risorse economiche che potremmo usare per altro… ma… aumenta il PIL!!! Pensiamo solo alle somme spaventose che l’Italia (ma anche la Sardegna) deve spendere (e i ricatti che deve subire) per comprare dall’estero i combustibili fossili necessari… a riscaldare l’aria intorno alle nostre case!!! Ma non sarebbe meglio investire quei soldi in ricerca e stipendi (e quindi occupazione) per sviluppare e applicare massicciamente le tecnologie esistenti capaci di ridurre a 1/3 i consumi delle nostre case a parità di comfort? Ma non è meglio investire in risparmio energetico (che crea nuova occupazione qualificata nell’edilizia, nell’impiantistica e nelle fonti rinnovabili) invece che in produzione e importazione di combustibili fossili e in edilizia convenzionale, settori che perdono occupati al ritmo crescente che conosciamo? Certo che è meglio… ma le lobby petrolifere, del gas e del carbone (cioè i veri poteri forti che dominano la politica e l’economia della crescita) vedono come fumo negli occhi (e a loro il fumo da fastidio…) politiche e pratiche che mirano a una diminuzione del consumi di fonti fossili.
E lo stesso discorso lo possiamo fare per la gestione dei rifiuti puntando, prima di tutto, alla loro riduzione e poi al loro riciclo tramite la raccolta differenziata e alla produzione delle c.d materie prime secondarie, tutte pratiche che diminuiscono il PIL ma accrescono il nostro benessere, la nostra salute e l’occupazione, invece della politica di lasciar aumentare i rifiuti per poi destinarli agli inceneritori che producono veleni mortali e diminuiscono l’occupazione perché sempre più automatizzati.

Vorrei concludere con un ultimo punto, per lasciare spazio alle domande e al dibattito. La Sardegna è davvero, come dice anche Pallante, un possibile laboratorio politico e pratico della Decrescita, perché siamo appena 1.620mila abitanti per una terra di 24mila kmq (la Sicilia ha il quintuplo di popolazione e la Lombardia 8 volte tanto) ma sono necessarie politiche coraggiose e lungimiranti.
È chiaro che autoproduzione di cibo con orto, frutteto e qualche piccolo animale da cortile, e autoproduzione di energia con fotovoltaico e mini-eolico da istallare sul tetto della propria casa, sono molto difficili da attuare in un contesto urbano dove si vive circondati da cemento e in condomini plurifamiliari. Eppure, nonostante l’enorme disponibilità di spazio esistente nella nostra isola, la devastante cultura della crescita ha concentrato più di 1/3 di tutti i residenti in Sardegna (550mila sul totale) a vivere ammassati in un semicerchio di appena 15 km di raggio intorno a Cagliari. E lasciando spopolati i paesi delle zone interne, con le loro decine di migliaia di case vuote e abbandonate e di ettari di terreno coltivabile lasciati ai rovi e ai topi.
Col risultato che l’interland di Cagliari (formato da ottimi terreni fertili e irrigui) è stato trasformato in una squallida periferia/dormitorio cementificata e priva di identità e rapporti sociali e comunitari, che ormai non riesce più (se mai ci è riuscita) a “dare lavoro” nelle fabbriche e negli uffici a tutti i nuovi poveri super-accessoriati che la cultura della crescita ha prodotto, e dall’altra parte a svuotare i paesi che per millenni hanno vissuto di agricoltura e artigianato e che oggi chiudono i battenti a partire dalle scuole per mancanza di bambini.

Perché questo esodo “quasi biblico” dalle terre della propria identità, della propria cultura, della propria famiglia, della propria comunità, dove abbiamo case spaziose, ampi cortili e terre fertili, per andare a rinchiuderci nei loculi della “città necropolitana” (leggete il profetico libro di Eliseo Spiga, Placido Cherchi e Cicitu Masala “Manifesto del Comunitarismo in Sardegna”), dove si diventa automi e ingranaggi di un sistema spaventoso? Perché il lavoro della terra se è vero che produce cibo sano e gustoso… produce però meno denaro del lavoro salariato che è invece indispensabile per poter comprare sotto forma di merci (più scadenti e nocive) quei beni che prima non avevo bisogno di comprare perché me li autoproducevo o li scambiavo nella mia rete comunitaria. E il cerchio si chiude.

Ho detto che servono scelte politiche coraggiose e lungimiranti per poter invertire il senso di questa marcia folle verso il baratro della distruzione planetaria. Al momento, diciamolo subito, nessun partito, ne di destra ne di sinistra, ne in Italia, ne in Europa, ma io credo neppure nel mondo, ha scelto la Decrescita come suo paradigma culturale fondante le proprie politiche economiche. Tutti i partiti, di destra e di sinistra (così come tutti i sindacati), che sembrano darsi feroce battaglia, sono in realtà d’accordo sulla necessità della crescita economica e del PIL. Magari divergono sugli strumenti da usare tra Stato e Mercato (anche se stiamo assistendo sempre più spesso a scambi culturali che, ad esempio nelle recenti elezioni regionali, hanno visto contrapposte la sinistra liberale di Soru con la destra statalista e assistenziale di Cappellacci). Ma a parte la scelta degli strumenti, Destra e Sinistra sono d’accordo che l’obiettivo della politica deve essere quello di far crescere il PIL a qualunque costo. Compresa la morte per asfissia e avvelenamento del genere umano.

E allora che fare? Chi mi conosce sa bene che non faccio mistero di auspicare che IRS, col coraggio e la passione che li contraddistingue, faccia la scelta rivoluzionaria di essere il primo partito al mondo a scegliere chiaramente e coerentemente il paradigma della Decrescita come base di un nuovo Rinascimento per il nostro popolo e la nostra terra, che divenga un esempio luminoso per tutti i popoli di tutta la terra.

Il fatto è che la decrescita ci sarà comunque, perché le risorse del pianeta stanno finendo. La scelta se subirla con sofferenza o viverla con felicità dipende solo da noi. Grazie.-

Roberto Spano – Portavoce MDF Sardegna