giovedì 28 novembre 2013

Pagina Facebook e crowd funding/produzione dal basso per la pubblicazione del mio primo libro


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Ho aperto una pagina Facebook il cui nome e':

"Terra e futuro. L'agricoltura contadina ci salvera'"

Che e' anche il titolo del mio libro, prossimamente in pubblicazione con l'editrice Eurilink.
Perche' la pubblicazione effettivamente avvenga, pero', e' necessario raggiungere una quota minima di 3000 euro attraverso il sistema delle produzioni dal basso, anche detto in inglese "crowd funding", in cui, chi e' interessato a sostenere il progetto pre-acquista una o piu' copie del libro prima che questo venga effettivamente stampato. In realta' si impegna ad acquistarla dando i dati della sua carta di credito (o prepagata ecc...): l'importo verra' effettivamente prelevato solo se e quando la quota minima verra' raggiunta ed il libro pubblicato.
Per chi vuole darmi una mano a far arrivare il mio lavoro nelle librerie e' possibile aggiudicarsi gia' da ora una copia a prezzo scontato sul sito


Vi prego in questa caso di scrivere "segnalato dall'autore" nello spazio NOTE in fondo al modulo dove si inseriscono i dati per la spedizione: questo, senza alcuna differenza nel prezzo che pagherete (14 euro) permettera' a me di dover contribuire con un minor numero di copie da acquistare per raggiungere il minimo per la pubblicazione (e' cosi' che funziona l'editoria in Italia per gli esordienti purtroppo). E mille grazie di cuore a tutti quelli che vorranno contribuire e leggere il mio libro.

Metto qui di seguito la presentazione del libro secondo la scheda della casa editrice Eurilink:

Descrizione

Un progetto editoriale interessante, per un libro che esplora un tema tradizionale (l’agricoltura) in un modo estremamente innovativo.
Il concetto di Sovranità Alimentare ha ottenuto negli ultimi anni un crescente successo nell’esprimere l’idea della libertà, della sicurezza e dell’indipendenza agricola delle nazioni.
Sergio Cabras, con il suo libro, vuole mettere in evidenza il fatto che non basta esser certi di poter mangiare ma che occorre anche essere in condizioni di produrre autonomamente il proprio cibo a livello locale e in modo sostenibile, scegliendo cosa e come produrre - ciascuna comunità secondo le proprie tradizioni e culture gastronomiche e scegliendo il proprio modello di produzione agricola.
Tutto ciò in modo possibilmente responsabile e lungimirante e non dettato solo da esigenze di competitività sul mercato globale e da programmi “di sviluppo” eterodiretti. La facoltà di scegliere tra una agricoltura localmente centrata e ben integrata con gli ecosistemi e la cultura locale o, viceversa, una uniformata su modelli standardizzati che si vorrebbero applicabili indifferentemente in tutto il mondo è, in sostanza, una questione di sovranità nazionale, oltre ad essere un ottimo metro di verifica della salute del nostro sistema democratico.
Dobbiamo dunque rivendicare che nel nostro sistema vi siano leggi e politiche volte a garantire e favorire la salvaguardia non solo genericamente del “settore agricolo” o agroalimentare ma soprattutto dell’agricoltura contadina; leggi e politiche tese ad impedirne l’abbandono e l’estinzione e che favoriscano, viceversa, la protezione della biodiversità, gli equilibri idrogeologici, i paesaggi, le mille conoscenze tecniche artigianali e di gestione ecosistemica dei territori, le tradizioni gastronomiche...
Queste leggi oggi sono spesso carenti, o del tutto mancanti, mentre ce ne sono molte altre che vanno in direzione diametralmente opposta: quella ispirata dal principio per cui meno contadini ci sono in un paese e più questo è sviluppato (uno dei più diffusi criteri di valutazione, purtroppo, degli economisti).
L’autore, che unisce ricerche indipendenti alla propria esperienza diretta sul campo, affronta questi argomenti basandosi su tre temi centrali: le sementi, la terra ed il lavoro. Discute dei pericoli del monopolio sulle sementi, i brevetti sulla vita, la semi-estinzione delle api, il fenomeno del land-grabbing e la speculazione finanziaria sulla terra, la vendita del demanio agricolo in Italia, le politiche agricole eurocomunitarie, le normative igienico-sanitarie nazionali in materia alimentare che escludono le produzioni contadine e penalizzano i circuiti locali dei mercati a vendita diretta (Chilometro 0).
Per ognuno di questi aspetti, propone alternative praticabili riportando interventi di “leader contadini” da molti Paesi del mondo, interviste inedite con testimonial italiani, un’analisi attenta delle normative vigenti, l’ipotesi Biolinux (brevetti open source sui semi), il miglioramento genetico partecipativo, proposte di legge presentate da associazioni contadine e sue personali ancora inedite. Ne emerge un quadro che, smentendo molti assunti su presunti passaggi evolutivi “necessari” per lo sviluppo, evidenzia tutta la questione politica che sta dietro a questi temi e le azioni necessarie per ripristinare la centralità dei temi per il futuro del mondo

Autore ed Editore

Sergio Cabras nasce a Roma nel 1963. Abbandona la vita di città non ancora ventenne per unirsi al fenomeno di occupazione e recupero di casolari rurali e terreni demaniali abbandonati sul Monte Peglia in Umbria. Dal 1990 conduce una piccola azienda agricola bio di sua proprietà. Ha una formazione etno-antropologica e filosofica acquisita attraverso studi personali e numerosi viaggi in Asia.
EURILINK è la casa editrice di riferimento della Fondazione e dell’Università “Link Campus”. Fondata nel 2006 allo scopo di offrire ai propri studenti e lettori testi innovativi sulle tematiche emergenti e sui dibattiti del nostro tempo, si rivolge soprattutto a coloro che avvertono l'esigenza di una interpretazione della società e del mondo aperta e cosmopolita, pronta ad attingere alle nuove frontiere della conoscenza.

Informazioni

Collana: Eurinstant
Pagine: 500
Formato: 14x21
ISBN: 978-88-97931-22-5


La risata dell'olivo



In questo periodo, di mattina fino a una cert’ora, anche se non piove, gli olivi sono bagnati di rugiada, dell’umidità della terra e dell’aria, troppo bagnati per poter raccogliere le olive. I vecchi contadini che ho conosciuto quando sono arrivato qui trent’anni fa (ormai saranno tutti morti, pace all’anima loro) dicevano che in questi casi bisogna “portar rispetto alle piante”, intendendo con questo che non bisognava toccarli, né raccogliere né (in altra stagione) potarli. Erano abituati all’idea che l’olivo è una pianta destinata a durare a lungo, non come quelli degli impianti moderni  tutti fitti fitti programmati per essere espiantati e sostituiti già dopo vent’anni. L’olivo è una pianta soggetta a diverse malattie crittogamiche e batteriche che con l’umidità si insediano più facilmente nelle ferite prodotte sulla corteccia dalle scale e dagli attrezzi per la raccolta. Quindi quando sono bagnati è buona norma non toccarli.
Allora? Allora bisogna aspettare che si alzino il sole o il vento ad asciugarli perché noi non lo possiamo fare. Che vuol dire? Vuol dire, tra l’altro, che la mia giornata lavorativa in questo caso diventa più corta e minore il suo tempo “produttivo”, cioè destinato a produrre reddito (olio da vendere, in questo caso). Una giornata intera di raccolta olive normalmente, tolte tutte le spese e le giornate passate a potare, ho calcolato che mi rende in media 25-30€, che già non è un gran che, ma in questo caso ancora meno. Nel frattempo, come in altre situazioni analoghe in cui, per vari motivi, bisogna aspettare, posso dedicarmi a preparare conserve dall’orto per l’inverno, cuocere il pane per l’indomani, mettere in ordine la cantina, fare riparazioni, cercar funghi o leggere libri e, magari, pian piano, forse mi è riuscito anche di scriverne uno. Del resto, così è: questa condizione da (neo-)contadino che è la mia qui, non è un “lavoro”, un’occupazione, un impiego; è vita, ed è un’avventura, in qualche modo. In cui c’è una linea di fondo da seguire, una falsariga fondamentale che regge tutto, intorno alla quale poi, lentamente, anno dopo anno, si cerca di mettere insieme tutti i vari pezzi, anche, se la terra non basta o le risorse scarseggiano, completando il quadro (economico, ma non solo) con altre attività part-time che possono pure essere del tutto estranee all’agricoltura. Infatti sono nato in città, nel 1963, sono venuto in campagna per scelta, e perciò sono un neo-contadino, non uno dei vecchi che erano qui prima di me e che, purtroppo per loro, difficilmente avrebbero potuto fare altro, semmai lo avessero voluto. E non di meno sono un neo-contadino e non un imprenditore agricolo o un agricoltore industrializzato, che è una cosa molto diversa.

Il rispetto per gli olivi che portavano i vecchi di allora aveva ben ragion d’essere, lo stesso che erano stati abituati fin da bambini a rivolgere agli anziani. Certi ricercatori botanici hanno trovato in Sabina (alto Lazio) piante di olivo tuttora viventi il cui ceppo originario ha 3000 (tremila) anni di età, ma anche senza arrivare a casi di tale eccezionale longevità (questi erano già vecchi prima che nascesse Cristo) non è raro incontrare piantoni di olivo secolari e plurisecolari nelle nostre campagne. Quante cose avranno visto passare queste piante? Com’era il mondo quando loro erano giovani? Che lingua parlava chi li ha coltivati, e quale era la sua morale, i suoi valori, come si è sposato? Quanti imperi e rivoluzioni hanno visto la propria alba e il proprio tramonto durante la vita di questi alberi?

Quest’anno uno di questi olivi dalla lunga storia ha ripreso a darmi olive dopo non so più quanto tempo che non produceva. Aveva subìto una forte gelata parecchi anni fa e in seguito devo ammettere che l’ho trascurato a lungo, era stato assalito e in parte coperto dai rovi. Poi, cinque o sei anni fa ho ricominciato a prendermene cura, insieme ad altre piante simili poste in zone marginali del mio campo; l’ho liberato dai rovi, potato per bene e fatto ogni anno tutto ciò che va fatto per recuperarlo, pur senza raccogliere nulla. Del resto, un po’ di rispetto glielo dovevo: era qui da un pezzo prima che io nascessi… e, probabilmente, sarà qui ancora vivo e vegeto molto dopo che non ci sarò più. Poi, quest’anno, finalmente è tornato a darmi delle olive, e neanche poche: una bella cassetta da venti chili!

Ho un piccolo Bed & Breakfast a casa ed oggi, mentre stavo in cima alla scala a cogliere olive proprio da questo albero, l’ospite che ha preso la camera in questi giorni si è avvicinato per fare due chiacchiere.  Ad un certo punto mi chiede se secondo me, oggi come oggi, convenga o no fare ancora il contadino su dimensioni così piccole, poco più che di sussistenza, in modo semi-tradizionale.
Proprio nel momento in cui pronunciava la domanda, mi è sembrato di avvertire uno strano fremer di foglie (come dire?) come pieno di allegria lungo tutti i rami dell’albero.
Arrampicato sopra la scala cerco di rispondergli: per esempio che, anche se in modi e forme diversi nei luoghi e nei tempi, sempre aggiornate ed adattate, aggiornabili ed adattabili, è stata comunque l’attività fondamentale di cui la gente ha vissuto per millenni e non solo qui, ma quasi ovunque nel mondo e di cui tutt’ora vive gran parte dell’umanità. Gli dico poi che, per dire se “conviene”, dipende anche se uno si vede come un individuo che pensa per sé come un’entità isolata (il che non è) o se si considera elemento di un ecosistema planetario e membro di una umanità che ha quanto mai bisogno di ritrovare forme di vita sostenibili; che dipende se consideri la convenienza solo in termini economici o anche di qualità della vita (considerando pure che ne hai una sola), del cibo che mangi, dell’ambiente in cui vivi, dei ritmi delle tue giornate, delle tue relazioni personali, del tempo che hai a disposizione, del senso che trovi in come passi questo tempo; ma, anche se vuoi considerare solo l’aspetto economico, dipende se lo vedi solo in termini di denaro o anche direttamente in beni necessari, o almeno utili, che puoi autoprodurti; ed anche se vuoi considerare solo i soldi, dipende se conti solo quelli guadagnati o anche quelli risparmiati o dei quali hai eliminato il bisogno di doverli guadagnare. Poi, alla fine, dipende pure da cosa vuoi nella vita, da ciò che scegli di considerare per te davvero necessario e ciò di cui sai fare a meno. E’ sempre una questione di scelte, in fin dei conti. E poi naturalmente dipende anche dalla società in cui vivi: dalle leggi, dalle politiche, dal sistema economico e dalla cultura dominante, che potrebbero crearti condizioni favorevoli a vivere in questo modo, a vivere oggi come contadino in questa epoca storica o viceversa (come più spesso è il caso) possono metterti i bastoni fra le ruote ed impedirti in tutti i modi di vivere e lavorare - per quanto onestamente - come vuoi tu, fino a renderti la vita impossibile o almeno molto difficile.
Lo vedevo, però, lì sotto alla scala che non era per niente soddisfatto delle mie risposte fino a che ad un certo punto sbottò: “Va bene, ma mi pare che ci giri troppo in tondo e che la butti un po’ troppo sul filosofico così: dammi adesso una risposta semplice e concreta: oggi come oggi, ad un giovane che deve decidere che lavoro fare nella vita, gli conviene o non gli conviene secondo te di fare il contadino?”
“Di fare il contadino?” rispondo riprendendo a cogliere le olive. “No, non gli conviene, lascia perdere. Ma non è mica un lavoro: è meglio che si trovi un lavoro vero”.
Che domanda stupida!!

L’olivo ancora ride.
Anzi, forse, qua in cima alla scala appoggiata a questo vecchio albero, a cui basta essere ciò che è, mi sembra di capire: ecco cosa fanno tutto il tempo gli alberi, mentre espandono i loro rami nell’aria e le radici nella terra, piantati comunque lì sotto al sole o in mezzo al vento: stanno da sempre a ridere.  A ridere delle domande come queste che ci facciamo: “mi conviene?”, “ma ci guadagno?”, o magari perfino “mi renderà competitivo? vincente? di successo?
Ah! Ah! Che razza di idee, poveri umani!




sabato 28 settembre 2013

"Omofobia"(?) o Omologazione del Pensiero ?


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Fa veramente tristezza, una tristezza preoccupante, cio' a cui e' toccato assistere in questi giorni intorno alle dichiarazioni di Guido Barilla cira la sua non intenzione di fare spot pubblicitari che equiparassero nuclei famigliari composti da omosessuali a quelli "tradizionali": sia le reazioni, la sollevazione pretestuosa e fuori luogo che ne e' derivata, il linciaggio mediatico, sia - forse ancor piu' - la ritrattazione con ostentato pentimento a cui ha deciso poi di sottoporsi.
Come ognuno puo' verificare andandosele a rileggere sui numerosi articoli che le riportano, le parole di Barilla non erano in alcun modo offensive nei confronti degli omosessuali (diceva fin dall'inizio esplicitamente di rispettarli), ma stavano solo ad esprimere la sua distanza ed estraneita' da quel tipo di relazione come base per un modello di famiglia, particolarmente il modello al quale intendeva rivolgere le campagne pubblicitarie dei propri prodotti.
Avra' diritto chi concepisce uno spot - ma altrettanto un film, un documentario ecc... - di rappresentare quella parte della realta' che gli interessa di rappresentare? O siamo ad una sorta di ennesima par condicio sociale per cui in ogni opera e' diventato obbligatorio ribadire che esistono-pure-e-con-pari-dignita' anche gli omosessuali (e magari pure ognuna di tutte le altre minoranze che potremmo elencare) come quelle avvertenze sugli effetti collaterali che vengono recitate di corsa in modo appena comprensibile alla fine degli spot sui medicinali? Non sara' piuttosto che certe presunte "verita'" vengono ribadite in continuazione proprio perche' gli stessi che le propagandano non sono affatto certi, in cuor loro, che siano vere?

Nell'affermare che la famiglia formata dall'unione di un uomo ed una donna (e - per la gioia dei progressisti - ci voglio aggiungere pure con certi rispettivi ruoli, almeno in linea di massima) e' semplicemente la famiglia come e' sempre stata ed e' tuttora nella stragrande maggioranza dei casi, Barilla non ha detto altro che un'ovvia realta'. Come e' altrettanto un'ovvieta' il fatto che all'interno di questo modello ci sono di fatto una vasta gamma di situazioni diverse possibili (certo non sempre positive o sane, come troppi fatti di cronaca ampiamente dimostrano) ma ne' si tratta di un blocco monolitico necessariamente caratterizzato da violenza e sottomissione, ne' di un retaggio del passato desueto ed ormai pressoche' scomparso, come la propaganda ormai dominante cerca ogni giorno di farci credere. Non c'e' nulla di strano o di sorprendente se un imprenditore sceglie di rivolgersi, reclamizzando i propri prodotti, non ad una piccolissima minoranza di coppie omosessuali, ma alla stragrande maggioranza delle persone. Barilla ha inoltre espresso - peraltro contro il proprio interesse - un elementare principio di democrazia e pluralismo dicendo che a chi non piacesse questa politica commerciale e d'immagine, poteva benissimo preferire di comprare i prodotti di altre marche.
Ha semplicemente espresso la propria opinione, mostrando un'indipendenza culturale che dispiace abbia poi ritrattato, se non altro, perche' e' ormai merce rara, di cui si sente sempre piu' la mancanza. E' certamente vero, come e' stato osservato, che nessuno gli aveva chiesto di fare spot con famiglie di coppie omosessuali, ma lo e' altrettanto che non ci sarebbe alcun bisogno di scatenare una tale valanga di reazioni piu' che eccessive (con tanto di premi nobel che si scomodano a dire la loro) - altrettanto non richieste - ogni qual volta che qualcuno si permette di dire la propria opinione su questi temi, quando questa differisce da cio' che si pretende ormai debba essere la nuova morale politicamente corretta ed obbligatoria.

Cio' che resta da chiedersi, piuttosto, e' quanta democrazia e pluralismo sta rimanendo in questo paese in cui e' ormai sufficiente esprimere un proprio pensiero, se in contrasto con il mainstream progressista di certa elite intellettuale e dei seguaci delle mode di turno, per essere linciati a livello mediatico e speriamo ancora non anche ad altri livelli. Sia ben chiaro che si e' trattato in questo caso di una semplice espressione di opinioni in modo non offensivo, opinioni che sono ancora proprie, peraltro, della maggioranza della gente in Italia, e che, se anche non lo fossero piu', lo erano fino a pochissimo tempo fa e percio' - qualora, come in questo caso e come e' giusto che sia, non siano in alcun modo tese ad istigare a violenze di alcun tipo - dovrebbe tuttora essere legittimo esprimerle.
Purtroppo, e' precisamente il caso di sottolineare dovrebbe, dato che la legge sulla cosidetta "omofobia" (termine quanto mai fuori luogo e volutamente fuorviante, non essendo la disapprovazione di un comportamento necessariamente il frutto della paura) sembra arrivare, se cosi' sara' approvata, a rendere illegali e perseguibili penalmente perfino le opinioni in materia (peraltro, solo se espresse da individui, mettendo al riparo chi si trincera dietro l'appartenenza ad organizzazioni - ovvero trovando un cerchiobottista compromesso con la Chiesa).

Siamo di fronte ad un pensiero unico che ribalta la condizione di discriminazione in cui gli omosessuali erano tenuti fino a poco tempo fa e li sta facendo diventare il cavallo di Troia attraverso il quale da un lato si da' fumo negli occhi a chi vorrebbe una societa' davvero piu' equa, pluralista e rispettosa delle minoranze (per tendere alla quale ci vorrebbe ben altro che questa parzialissima questione male e spesso strumentalmente gestita a livello politico) e dall'altro, soprattutto, apre la strada all'imposizione di una omologazione del pensiero in nome di un progresso sbrigativamente e superficialmente inteso che non esita a ricorrere sempre piu' spesso al principio della caccia alle streghe, dei capri espiatori, dell'isteria collettiva che giustifica limitazioni gravi e pericolose della liberta' di parola e di opinione. Purtroppo, mi pare che gli episodi che si stanno verificando ultimamente sempre piu' spesso, non ultimo questo di Guido Barilla, mostrano quanto questa valutazione non sia piu', purtroppo, ne' allarmistica, ne' esagerata.