venerdì 4 dicembre 2015
VIA I CROCEFISSI: AVANTI CON L'IPOCRISIA DEL LAICISMO, RELIGIONE DI STATO
Premetto che non sono cattolico e nemmeno cristiano e che sono indifferente a tutte le varie ricorrenze tradizionali, feste comandate, sia di Stato che religiose, e a tutto questo genere di cose che, fosse per me, potrebbero scomparire domani e quasi non ci farei caso. Anzi, essendo alcune di queste - come il Natale - diventate poco altro che l'occasione per una esplosione periodica di consumismo, francamente, ne farei volentieri a meno. Non è quindi di difendere tali cose che mi interessa: ci tengo piuttosto al principio per cui è un fatto di onestà dire le cose come stanno e non fingere di avere certe motivazioni quando è altro l'obiettivo a cui si punta.
Mi riferisco a tutta questa preoccupazione di eliminare ogni tradizionale celebrazione del Natale dalle scuole, ogni simbolo religioso dalle aule. La ragione che viene addotta è quella di rispettare la sensibilità di bambini e studenti provenienti da culture diverse dalla nostra la quale, ci piaccia o no, ha il Cristianesimo (nel bene e nel male) tra i tratti che tradizionalmente la caratterizzano.
Un fatto che dovrebbe incuriosire, però, è che queste istanze di abolizione di simboli ed usanze cristiane, non provengono, nella stragrande maggioranza dei casi, da musulmani o da appartenenti ad altre religioni, bensì da persone che difendono la laicità come bene supremo che deve informare la linea delle istituzioni in ogni campo culturale. Una laicità così tanto enfatizzata che sembra piuttosto configurarsi come Laicismo. Un altro fatto curioso è che le stesse persone che sostengono questo approccio relativista quando si parla di religioni, si scandalizzano quando, ad esempio, una famiglia islamica decide di non far frequentare le lezioni di musica ai propri figli perché ritiene che queste siano contrarie al proprio credo. Vogliamo trovarlo aberrante? Io personalmente sì. Però, se si vuole essere relativisti non è che lo si possa solo quando piace; se si dice che bisogna rispettare le sensibilità altrui, anche questo strano tipo di (in)sensibilità verso la musica lo è.
In questo caso invece sembra che l'incivile straniero debba essere ricondotto al rispetto di qualcosa che, quanto più è possibile, si cerca di apparentare ai diritti umani, per dissimularne il carattere culturalmente determinato che rivelerebbe il fatto puro e semplice che, sotto le mentite spoglie di una sedicente egualitaria laicità, riemerge la convinzione mai veramente superata che la cultura occidentale sia superiore a tutte le altre. Oggi superiore proprio perché relativista, perché pretende di porsi in una posizione "neutrale" rispetto a tutte le appartenenze culturali particolari. Ma la vocazione dell'Occidente è sempre stata quella di un approccio universalista: le nostre verità son sempre state qualcosa da portare al mondo perché valide ovunque (anche quella oggi più di moda, ovvero che non ci sarebbe alcuna verità). E la presunta "neutralità" di questo laico relativismo non ne è affatto esente, risultando null'altro che la veste attuale attraverso la quale - non tanto l'Occidente (che contiene anche sopravvivenze di elementi tradizionali) ma - la Modernità di matrice occidentale si impone al mondo.
Da questo punto di vista non è l'espressione del Cristianesimo a dover essere cancellata in quanto impositiva sull'Islam o su quant'altro: questa è solo la giustificazione buonista e più facilmente difendibile. È il fenomeno della religiosità in sé stesso che si cerca di spazzare via, imponendo al suo posto il Laicismo come nuova "religione" di Stato. In questo, se non altro, i Francesi sono certo più franchi (è il caso di dire) di noi. Si parla di società multietnica ed interculturale, ma in un quadro in cui le etnìe devono diventare mère apparenze fisiche senza significato se non per quello che culturalmente gli si dà (cosa che peraltro si cerca di fare altrettanto - ed è ancor peggio - con le differenze tra i sessi) e l'interculturalità è piuttosto l'amalgama generale di una a-culturalità in cui ciò che conta è solo l'essere consumatori ed in cui le nicchie culturali hanno legittimità esclusivamente in quanto nicchie di mercato. Se si volesse davvero rispettare la varietà delle diverse sensibilità culturali - e certamente ci si troverebbe così molto più in linea con quelle della maggioranza degli immigrati - non si cercherebbe di cancellare le usanze tipiche della propria tradizione a causa della presenza di un certo numero di cittadini di origine straniera (cosa che peraltro essi, nella loro terra d'origine, giustamente non si sognerebbero neanche lontanamente di fare), ma si riconoscerebbero come festività pubbliche riconosciute anche quelle delle altre religioni presenti nel nostro Paese, lasciando eventualmente la libertà ad ognuno di considerare quella data come giorno di festa o meno. Anziché puntare all'abolizione pura e semplice dell'ora di religione (che certamente oggi, così com'è, non ha molta ragion d'essere - se mai ne ha avuta), si penserebbe di sostituirla con uno spazio formativo di religioni comparate, antropologia culturale, etnologia, storia delle religioni: una componente del percorso educativo che si stenta a credere sia ancora assente mentre ci sentiamo costantemente ripetere che la globalizzazione va presa come una realtà incontrovertibile. È veramente pauroso il livello di ignoranza, diffusa tra gli italiani, delle culture dei popoli extraeuropei, verso le quali abbondano invece pregiudizi e luoghi comuni.
L'operazione che si cerca di fare, invece, è tutta interna alla società italiana ed è tra una fazione di laicisti che si ritengono progressisti in quanto avversi alla religione in quanto tale e che al fine di estrometterla dalla vita pubblica usano una presunta difesa dei diritti degli immigrati (senza considerare che proprio questi danno mediamente più valore alla religione che gli italiani) ed una di conservatori che usano strumentalmente come una bandiera un Cristianesimo che probabilmente non praticano, data la chiusura verso il prossimo che dimostrano. In tutto ciò la gente di origine straniera e che si riconosce in religioni non cristiane presente nel nostro Paese ha ben poca voce in capitolo ed è usata soprattutto come un pretesto.
Tutto ciò non fa, a mio modo di vedere, che accrescere la confusione e l'incomprensione tra autoctoni ed immigrati. Anche perché nell'ottica laicista questi ultimi sono uguali ai primi solo in quanto altrettanto sradicati o sradicabili dalle proprie radici: la "crociata" laicista della Modernità Occidentale è rivolta tanto contro gli arcaismi esotici quanto contro ciò che di tradizionale e premoderno sopravvive e resiste nell'Occidente stesso. Anzi, in primo luogo contro quest'ultimo, perché, una volta estirpato questo, per ciò che di tradizionale vorranno tenersi vivo gli stranieri non ci sarà proprio diritto di cittadinanza.
La crescente confusione - a partire da queste basi - fa credere agli autoctoni dei Paesi europei di essere minacciati nella loro identità e nel loro modo abituale di vivere da un'invasione straniera ed agli immigrati di dover scegliere tra un'assimilazione con abbandono totale dei propri valori (che in linea di massima sono tradizionali e ispirati dalla religione) o un atteggiamento di continua contrapposizione verso il Paese ospitante che varia dal vittimismo all'integralismo. Ciò che non si vede - a causa della confusione creata anche dal far passare delle cose (e delle intenzioni) per delle altre - è che, fuori da tutte le chiacchiere buoniste sulla società multiculturale, la situazione attuale delle grandi migrazioni non è affatto uno slancio spontaneo verso un teorico melting-pot globale (magari sul modello di internet o stimolato da qualche nuova tecnologia). Non c'è proprio nulla di spontaneo in tutto ciò. Si tratta di qualcosa che tutte le comunità e gli attori coinvolti, da una parte e dall'altra dell'immigrazione, subiscono loro malgrado: uno stravolgimento degli equilibri geo-culturali causato da fenomeni squisitamente economici e dagli interessi che gli stanno dietro, da sfruttamento, risorse primarie sottratte ai popoli a cui appartengono, speculazioni finanziarie, delocalizzazioni produttive, dominio delle multinazionali, landgrabbing, imperialismi, dittature sostenute per convenienza, guerre..... Non c'è proprio nulla dell'utopia multiculturale di cui si favoleggia con la coscienza sporca di chi sta dalla parte da sempre avvantaggiata da questi meccanismi, ovvero di quella percentuale del 20% dell'umanità che possiede l'80% della ricchezza.
Il Laicismo, fattosi dottrina del modello unico del disordine mondiale e ben lungi dall'essere quell'elemento di super-culturale imparzialità che millanta di essere, è il volto con il quale la Modernità Occidentale cerca ancora oggi di esercitare quella missione universalista che ha sempre creduto di avere uniformando il resto del mondo alla propria visione.
Per di più - dopo tutti i disastri che l'Occidente ha creato sia al proprio interno che nel resto del pianeta nel corso della sua storia - questa visione ormai (a parte una facciata di parole tese a riaffermare costantemente valori mai rispettati nei fatti) si è ridotta a garantire il diritto-dovere di essere tutti indistintamente consumatori. Uguali di fronte alle vetrine. Diversi alla cassa.
sabato 24 gennaio 2015
Ripensare il lavoro
giovedì 8 gennaio 2015
La libertà, il rispetto e i falsi laicismi nel mondo globale
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