martedì 9 febbraio 2016

RIFLESSIONI SU CERTO AMBIENTALISMO CITTADINO


Una volta un amico mi parlava di sua madre che usava dirgli qualcosa sui fiori. Qualcosa tipo: “I fiori sono bellissimi, ma vanno solo guardati perché durano poco. Se provi a prenderli la loro bellezza svanisce ancor prima”. Naturalmente la frase conteneva una metafora che poteva valere per tutto ciò che c’è di bello nella vita o per la vita in genere: i momenti di felicità e soddisfazione sono fuggenti ed il corso delle cose va lasciato scorrere ed apprezzato per ciò che è, tentare di far prevalere la nostra ambizione di possesso ed appropriarcene rovina anche quel poco di bene che ci è concesso. Questa era un po’ l’idea. Non si può dar torto alla mamma del mio amico. Nondimeno, al tempo stesso, è evidente come il suo fosse un modo molto cittadino di vedere le cose – ed infatti aveva passato tutta la vita dentro Roma. Tra il conteplare il fiore senza alcuna interazione fisica ed il coglierlo uccidendolo nel tentativo di farlo proprio non sapeva immaginare una terza via: quella di coltivare dei fiori. Nel dire a suo figlio tutta la caducità nella bellezza dei fiori sottolineava il fatto che la loro stagione è breve, appena una settimana o poco più all’anno, diceva. E così ripeteva lui, che infatti non riteneva valesse la pena di tenerne in casa. Ma chiunque abbia una qualche esperienza di giardinaggio e conosca anche solo un poco le piante da fiore sa che se ne possono coltivare per quasi tutto l’anno, inverno compreso, scegliendo le varietà adatte ed effettuando le semine a rotazione. Certo, bisogna avere un rapporto fisico, pratico, lavorativo con le piante, la terra, maneggiarle, percepire i fiori come esseri viventi, precari, problematici e contraddittori come tutti gli esseri che vivono. Non che in città non ci sia la possibilità di coltivare dei fiori, ma è più facile dimenticarsene. Se si conoscono come oggetti da acquistare dal fioraio e mettere in vaso o come immagini appese al muro, metafore di bellezze ideali, può darsi si creda di apprezzarli ad un livello più alto, ma probabilmente non si ha proprio idea di cosa siano. Nel coltivarli, i fiori, si scopre la possibilità che abbiamo, quali elementi della Natura, di esserne compartecipi, parte in causa ed attiva, non padroni. Ma nemmeno privi della possibilità di interagire con gli altri elementi ed anche adattare il mondo cui apparteniamo, in certa misura, a nostra misura. Il che implica anche una responsabilità, naturalmente. Nella metafora della mamma del mio amico è contenuta l’annosa questione del rapporto degli umani con l’ambiente (termine equivoco e surrettizio usato spesso al posto di Natura pensando così di annettere anche questa all’ambito di pertinenza dell’agire umano ovvero di negare la sua esistenza di per sé). Il cosidetto ambientalismo ha preso le prime mosse come atto di allarme e di denuncia dei processi distruttivi di origine antropica che, con l’obiettivo di accaparrarsi ogni genere di risorse naturali a fini di profitto e di consumo, già da tempo stanno mettendo a rischio gli equilibri ecosistemici e con ciò – a più o meno lungo termine – la sopravvivenza stessa di molte specie viventi tra cui anche la nostra. La risposta tipicamente ambientalista a questo stato di cose è stata quella conservazionista per cui bisogna limitare il più possibile l’intervento umano sull’ambiente e proteggere le specie animali e vegetali a cominciare, ovviamente, da quelle a rischio di estinzione. Una tale posizione, in linea di principio ineccepibile, non ha però mancato di sconfinare a volte al di là di una misura che possa dirsi genuinamente eco-logica, come nei casi in cui si è preferito allontanare dai propri territori ancestrali popolazioni di cacciatori tradizionali per far posto a parchi nazionali (col relativo afflusso di turisti stranieri paganti in valuta forte) o in cui ci si oppone a generatori di energie rinnovabili per ragioni non sempre proporzionate al loro valore sull’ecologia globale. Ma, eccessi particolari a parte, i movimenti ambientalisti sono spesso stati sul limite – ed anche oltre – di una condanna tout-court quasi della presenza stessa degli umani nella Natura, come se tale presenza dovesse essere per definizione incompatibile. Come se non ci potessero più essere o perfino non ci fossero mai state forme di vita umana perfettamente integrate e sostenibili rispetto all’ambiente naturale che le ospitava. Ovviamente sappiamo che ciò non è vero altrimenti i pericoli di disastri biologici planetari causati dagli esseri umani che si presentano oggi avrebbero dato le loro conseguenze già molto tempo fa. Purtroppo è una caratteristica della nostra cultura occidentale moderna - segnata dalla pervicace abitudine ad un pensiero astratto, intellettualista, iperconcettuale, separato dall’esperienza empirica così come nella sua visione lo sono la mente dal corpo, il reale da ciò che non è nominabile, il bene dal male – che agli eccessi di una corrente di pensiero egemone ispirata a certi valori e ad una certa visione delle cose debbano inevitabilmente seguire quelli di segno opposto. Così ad un iperrazionalismo meccanicistico segue l’esotismo da figli dei fiori che poi fa posto ad un rozzo materialismo edonista e conformista da cui si passa alla manìa per le superficiali trasgressioni di costume seguite dal buonismo politically correct per poi passare al pragmatismo di uno pseudo-realismo che non vede al di là del proprio conto in banca fino alla “riscoperta” delle “cose naturali di una volta” da boutique e chiacchiere new age da centro benessere. Da una cultura scientista-positivista si finisce per dar credito e pari dignità a qualsiasi volgarizzazione di credenze tradizionali o irrazionalismo purché abbia un’aura esotizzante. E da una società patriarcale machista si passa ad una in cui il fatto stesso di esser maschi già è di per sé una mezza colpa a meno che non si abbia almeno una parziale tendenza omosessuale ed in cui la meritocrazia non c’è verso che passi in nessun campo, ma le quote rosa si. Purtroppo, nel corso di questo procedere per opposti sbandamenti, l’uso di un senso della misura sufficiente a cogliere il punto critico delle questioni, attenervisi e non andar oltre è raro come una chimera. Forse perché qui (in Occidente) siamo troppo infatuati di ideologie e mode culturali (come altrove lo sono delle religioni) per mantenere di fronte ad esse un criterio di ragionevolezza. Evidentemente ci servono – o così crediamo – ci troviamo un’identità, il senso che non troviamo nella vita ed allora ci buttiamo dentro a capofitto, eventualmente in senso antiideologico anche, ma sempre ideologicamente. Allora, per tornare all’ambientalismo, non si può non riconoscere che certe posizioni ultraconservazioniste abbiano portato più argomenti ai detrattori dell’ecologismo che ai suoi sostenitori. Penso a quelle che puntano il loro impegno sulla salvezza di un certo numero di individui di una determinata specie animale perdendo di vista il quadro ecosistemico complessivo e la portata della battaglia culturale amplissima che serve per proteggerlo o di chi vuol difendere determinati ecotopi in paesi poveri senza prendere in considerazione l’aspirazione di chi vi abita ad un minimo di sviluppo anche economico, L’emergenza che abbiamo di fronte – e ciò che più d’ogni altra questione dovrebbe starci a cuore se siamo degli ‘ambientalisti’ – sono i pericoli che minacciano il pianeta in quanto sistema ecologico, che minacciano i suoi equilibri funzionali. Questo sistema ecologico non ha nulla di buonista o di democratico, né è organizzato per essere una storia a lieto fine per nessuno: fatica e pericolo sono sempre presenti e la morte è invariabilmente l’esito finale nell’esistenza di ogni individuo a qualsiasi specie vivente appartenga. L’estinzione di intere specie, anche, è uno dei vari elementi che periodicamente fanno parte del quadro. Anziché corrispondere ai concetti umani di bene e di male, questo quadro trova la sua inconcepibile armonia in un equilibrio dinamico di proporzioni, di misure reciprocamente compatibili secondo una legge per la quale qualsiasi cosa può crescere solo fino a un dato limite ed è poi condannata a decadere. Alla lunga si vive solo se in rapporto organico e sostenibile col resto del mondo. Altrimenti, e più presto che tardi – sulla scala temporale del pianeta, ovviamente – si viene spazzati via senza tanti complimenti da uno di quegli “schiaffi di Dio” che, come diceva Giorgio Gaber, “appiccicano al muro” . Questa è la questione: per cui non si tratta di salvare i paesaggi che ci piacciono per andarli a vedere in vacanza o gli animali più amati dai nostri bambini. Si tratta di difendere in primo luogo le funzioni vitali degli ecosistemi in quanto questi sono la vita sul pianeta a prescindere da qualsivoglia scala di valori noi possiamo avere ed a prescindere da noi umani stessi in realtà. Per cui è nella loro salvaguardia che sta la nostra possibilità di sopravvivenza ed, alla lunga, anche di una vita degna di essere vissuta. Fin qui tutti d’accordo, spero – almeno, tra ecologisti. Ma, la cosa che non sembra essere chiara a molti è che, siccome l’essere umano c’è ed arrivato, piaccia o non piaccia, ad avere un peso decisivo nella sua interazione con quella che qualcuno chiama la biosfera, il punto centrale non è quello di difendere con disperate resistenze alcuni elementi (ognuno quelli che più toccano la sua sensibilità) di questa biosfera, ma quello di capire quale possa essere un modello duraturo di coesistenza umana con l’insieme della vita sulla Terra. Le forme di questa coesistenza non potranno essere qualcosa di (ex)stra-ordinario ed inusitatamente ‘buono’ che gli umani potrebbero illudersi di creare ex-novo sul pianeta – come un mondo dove violenza e sopraffazione, necessità, scarsità, dolore, fatica, malattia e morte siano scomparsi. Ciò non sarebbe altro che il modo per ripetere dei pericolosi disastri, pur con le migliori intenzioni. Negli equilibri che regolano la vita sulla Terra il punto centrale è un principio di misura: per noi umani (almeno per un bel numero – forse ancora ci staremmo tutti) c’è posto su questo pianeta. Ma ce n’è abbastanza, come diceva Gandhi, per i bisogni di tutti, non per l’avidità di alcuni. Qui sta l’armonia: il mio spazio finisce dove comincia il tuo. Così ciò che può prendersi l’essere umano trova un limite in ciò che davvero gli serve ed oltre il quale rimane abbondante spazio vitale perché gli ecosistemi funzionino e si riproducano. La soluzione starebbe nel considerarci, noi umani, proprio come elementi dell’ecosistema. Ma questo non può essere solo un’idea o una pia intenzione: deve tradursi in un modello economico, in un sistema di produzione e consumo armonico e sostenibile. Altrimenti sono solo chiacchiere: nuovi espedienti tinti di ‘verde’ per far ancora più business o, nella migliore delle ipotesi, velleitarismi romantici da anime belle. In attesa di venire a conoscenza di altre (e migliori?) soluzioni applicabili effettivamente su scala di massa, il neo-contadino cerca di costruire una dimensione di vita e di economia praticabile già qui ed ora e sostenibile in prospettiva. E’ fiducioso che il suo possa essere un modello valido perché ricalca – aggiornandolo – quello che ha dato da vivere agli esseri umani in ogni luogo del mondo per almeno dodici millenni – durante i quali, peraltro, gli stessi umani hanno avuto modo di esprimersi nella più inimmaginabile varietà e ricchezza di culture umane…… (nel caso qualcuno temesse un appiattimento culturale anziché vederlo in quello che sta uniformando questo mondo di consumisti massmediatizzati). Allora, se c’è oggi una specie davvero da proteggere, questa è quella dei contadini, che sono i veri custodi del mondo. In primo luogo quelli tradizionali dei paesi non ancora sviluppati che vanno aiutati con ogni mezzo a restare sulle loro terre e nei loro villaggi a continuare il lavoro dei padri. Questo significa permettergli di migliorare un poco le loro condizioni di vita lì dove si trovano: manca molto meno a loro per avere una vita dignitosamente accettabile e sobriamente godibile di quanto dovremmo decrescere noi per rientrare in limiti sostenibili – pur senza arrivare a farci mancare niente. E poi vanno sostenuti i contadini dei nostri paesi nel restare nelle campagne e quelli nuovi che le volessero ripopolare. I contadini però: non gli imprenditori agricoli con contributi a pioggia in modo assistenzialista dati (per fare solo un esempio) sul seminato senza neanche verificare che poi ci sia un raccolto. Intanto che si studiano innovative soluzioni tecnologiche o di ingegneria sociale, dato che la dimensione contadina è una possibilità collaudata ed aggiornabile, vantaggiosa non solo per chi la vive direttamente anche sul piano dell’occupazione, dell’ambiente, del cibo, del territorio, del clima, della biodiversità, del turismo ecc…ecc… perché non sostenere – o almeno evitare di creare ostacoli – a chi vuole praticarla? E perché, da parte degli ambientalisti non metterla al centro delle proprie proposte anche politiche?

martedì 2 febbraio 2016

NÉ FAMILY DAY NÈ FAMILY GAY


Non sono andato al Family Day. Non ci sono andato perché non me la sarei sentita di confondermi, in una situazione del genere, con persone che nella stragrande maggioranza hanno, ne sono certo, una visione delle cose complessivamente molto diversa dalla mia. Non condivido la loro difesa della famiglia tradizionale in sé stessa, non credo che sia voluta da Dio e nemmeno sono cristiano per cui un tale Dio non credo esista. Eppure non mi è dispiaciuto affatto vedere così tanta gente manifestare apertamente il proprio dissenso verso non solo un provvedimento di legge - che, in una qualche forma o in una qualche sua parte, di per sé può anche avere una sua ragion d'essere - ma soprattutto, credo, contro ciò che dietro ed oltre di esso cerca di imporsi come normale e normalmente accettabile. Perché questo è il vero motivo del contendere: se si trattasse solo di trovare una forma legale per riconoscere alcuni diritti alle coppie omosessuali non ci sarebbe bisogno della campagna mediatica che è in atto attorno a questa questione. Ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di una legge che nei fatti equipara il matronio gay a quello tra un uomo ed una donna, lasciandone l'unica differenza poco più che nelle parole. Dopo l'epoca dell'omosessualità come trasgressione, come forma di sessualità alternativa a quella normale (in inglese detta "straight"), è ora giunta quella dell'omosessualità normale, riconosciuta e ratificata - diciamo pure benedetta - dal Laicismo, nuova religione di Stato, con tutti i suoi sacramenti costituiti dalle "laiche" omelìe mediatiche, dall'assunzione del tema nella sfera dei diritti umani/civili, dei tratti distintivi del Progresso e dell'Occidente (del resto son quasi sinonimi) e dalle minacce di scomunica da parte dell'Unione Europea, in caso ci si sottraesse a sancire legalmente il tutto. Chiusa l'era dell'alternative gay siamo entrati in quella del family gay, il gay che vuol avere anche lui una normale vita di famiglia. Ma come ci siamo arrivati? Certo i fattori di cambiamento sono molteplici e non possono essere troppo semplificati, ma, pur limitandoci al livello della bassa politica e della "cultura" di massa, non si può evitare di notare alcuni passaggi curiosi e interessanti. Per quanto questa affermazione suprema della mentalità relativista o del Laicismo religione di Stato si presenti oggi come una cosa "di sinistra", è stato in realtà proprio il ventennio berlusconista che le ha preparato il terreno. Di questo ventennio ho sempre pensato che gli effetti più pesanti e duraturi siano avvenuti sul piano della coscienza di massa, della cultura popolarmente diffusa, molto più che su quello della politica. E ciò è passato attraverso la mutazione antropologica che il Berlusca è riuscito ad ottenere sugli italiani attraverso le sue televisioni, non attraverso il suo partito o i suoi governi. È grazie allo stile che le sue emittenti hanno reso normale che è diventato del tutto accettabile che un transessuale di alto bordo (mi pare si chiamasse Efe Bal o qualcosa del genere) venga invitato come ospite (intervistato singolarmente) ad una trasmisione televisiva di approfondimento politico e dica di essere orgoglioso di fare la prostituta (davvero, quale sarebbe il motivo d'orgoglio non lo capisco, ma sarà perché sono antiquato). È stato attraverso la non-morale - il superamento di ogni etica contrabbandato come avanzamento e liberazione culturale - propagandata dal mito dell'esteriorità berlusconiano che questa in-differenza, per cui tutto è uguale a tutto e tutto egualmente accettabile, è diventata la regola ed il metro della società in cui viviamo. O, più che altro, di quella in cui crediamo di vivere perché accettiamo l'idea che la società che i media ci raccontano sia perfino più reale di quella che effettivamente incontriamo tutti i giorni. E perché la accettiamo? Perché di fronte a quella - spettacolarizzata - che ci narrano i media la nostra realtà vissuta ci appare piccola, poco dotata di significato, non vi vediamo brillare quel "qualcosa" che fa grandi e forti le cose come le vediamo rappresentate sui media. Non è che vediamo molte cose buone e valide sui media, ancor meno persone che lo siano, né cose vere, né tantomeno persone vere - quale che sia il senso che vogliamo dare a questa parola. Ma è proprio questo che il ventennio berlusconista ci ha insegnato: che non conta nulla la verità, che tutto e chiunque può arrivare a meritare l'altrui attenzione - e forse invidia, ammirazione, emulazione - purché sia bello, ricco e di successo e perciò faccia spettacolo. Col berlusconismo la "società dello spettacolo" come forma di dominio delle coscienze di cui parlava Guy Debord ha avviato in Italia la sua completa affermazione (il che ovviamente non sorprende essendo il suo esponente-simbolo un proprietario di vari canali televisivi, giornali case editrici, emittenti radio...). Ma si tratta di un fenomeno che continua oggi ad estendere ed approfondire la sua manipolazione, solo che lo spettacolo, sotto la "sinistra" renziana, si presenta come "comunicazione", "informazione", libertà (del tutto irrilevante perché tanto le decisioni sono già prese comunque ed altrove) di espressione, di dibattito e di dissenso. Ai tempi di Berlusconi il processo era ancora imperfetto ed il nostro imprenditore nazionale dalla statura napoleonica (non quella politica, però) doveva ancora accompagnarsi a personaggi come Fini, provenienti direttamente dal passato fascista per affrontare, come a Genova 2001, il dissenso e proteggere il potere (suo e quello globale - che più tardi gli ha dato il benservito sostuendolo col più organico Monti). Oggi le cose sono molto più sofisticate e la quadratura del cerchio è quando si riesce a far passare le manovre che spianano la strada ad un sempre più incontrastato liberismo globalizzato come una rivendicazione di orgoglio ed autonomia nazionale (vedi Renzi verso l'Europa e la Merkel) e coloro che resistono allo stravolgimento di ogni sentire condiviso e di ogni identità come nemici della libertà, potenziali fascisti. Una volta che si è ottenuta come scontata l'in-differenza di ogni cosa rispetto ad ogni altra, la scomparsa di ogni valore ed ogni etica, che si è fatto del successo, della bellezza esteriore, della ricchezza e dello spettacolo l'unico metro su cui valutare qualsiasi cosa; una volta che, nell'accezione popolarmente accettata, si è ottenuta l'identificazione di tutto ciò coll'idea di Progresso e demonizzato chiunque si opponga a ciò che viene spacciato come tale, non c'è più modo di portare argomenti che cerchino di ricondurre alla realtà, se escono dalla narrazione dello spettacolo. Che è sempre una narrazione dicotomica, manichea in modo hollywoodiano, in cui le coordinate che definiscono ciò che è bene e ciò che è male cambiano secondo le mode e le convenienze, ma sempre si ripete immutato lo schema: i buoni e i cattivi, chiaramente e nettamente distinguibili ed alla fine...arrivano i nostri! (lo si vedrà presto in Libia, credo...). In questi termini anche chi vuole opporsi nel modo più cruento possibile si inserisce nello schema creato dal dominio culturale dello spettacolo e, come l'ISIS, presenta la sua guerra nel modo più spettacolare possibile. Ed è un gioco in cui, dal punto di vista della narrazione spettacolare della pseudo-realtà, non si saprebbe ben dire quanto jihadisti ed Occidente si combattano reciprocamente o invece collaborino a rendere sempre più totale il dominio di questa narrazione, che è utile ad entrambi, in fondo. Per tornare al Family Day, una volta ottenuta la sfiducia a priori in qualunque cosa ed in chiunque, è facile dire, come la Litizzetto, che si è trattato di un raduno di gente che va con puttane e travestiti, che si è sposata e divorziata varie volte e poi difende pubblicamente la famiglia tradizionale. Ma questa condizione di ipocrisia generale chi l'ha creata? Non è un sistema complessivo che se ne nutre, a cominciare da chi lavora in TV? dai cerchiobottismi della politica? e vogliamo dire che la cosiddetta "sinistra" non ne sa nulla, con tutta la ventennale ambiguità del PD (e precedenti denominazioni) verso Berlusconi (che se non ci fosse stato avrebbero dovuto inventarlo per far finta ancora per un po' di essere "di sinistra", di difendere una democrazia messa in pericolo e così tenersi il nocciolo duro dei propri votanti) e della sua attuale minoranza interna che alla fine va sempre a sostenere Renzi? È vero, senza dubbio, che nella difesa della famiglia tradizionale, dei "valori" ecc... c'è anche tanta ipocrisia da parte di tante persone. Soprattutto da parte di ignobili politici che stanno lì solo a specularci sopra senza aver fatto mai vere politiche a sostegno delle famiglie anche quando avrebbero potuto. Ma basta questo a dire che c'è solo ipocrisia? Che non ci sia in realtà anche tanta gente che a queste cose ci crede e le vive davvero? E soprattutto, basta a dire che per gli esseri umani non si possa in alcun modo distinguere tra ciò che è secondo Natura e ciò che non lo è? Tutto si riduce ai comportamenti dei portavoce e dei personaggi-simbolo (sempre all'interno del circo mediatico) delle varie posizioni? Dobbiamo rassegnarci all'idea per cui ai figli l'unico valore da insegnargli sia che ognuno fa bene a fare indifferentemente quello che gli pare, basta che paghi le tasse e faccia (vuoi come "regolare" vuoi come "trasgressivo") comunque bella figura in società (che è poi la forma di spettacolo accessibile ai più)? Per assicurarci di non lasciar spazio ad inaccettabili soprusi ed oppressioni fasciste contro le minoranze dobbiamo necessariamente negare che siano minoranze perché dobbiamo con ciò negare che esistano costanti che ritornano e danno forma alle cose in Natura? Ma davvero crediamo ci sia solo una forma e a senso unico di ipocrisia? Sul giornale La Stampa del 30/1/2016 (http://www.lastampa.it/2016/01/30/italia/cronache/quei-gay-in-piazza-al-family-day-se-ci-scoprono-siamo-fregati-HuH8ucIngafJGPLvolF1CM/pagina.html) un articolo parlava di messaggi intercettati di gay in incognito tra i partecipanti al Family Day che si davano appuntamenti ma non volevano farsi scoprire e che erano evidentemente lì solo per convenienza. Benissimo (a parte che, volendo, sarebbe stato facilissimo "montare" tutta la cosa da parte del giornalista insieme ad un amico o due), ma vogliamo escludere che ci siano molti altri a sinistra che in cuor loro vedono l'omosesualità come contro-Natura, ma che evitano di dirlo e magari ostentano persino opinioni contrarie a ciò che pensano per evitare la pessima figura che ci farebbero? Ormai, con il volume di fuoco impiegato dalla maggior parte dei media e di molti tra chi ci lavora - in linea con quella che, senza troppa esagerazione, è stata definita come la propaganda della lobby omosessualista - lo stigma sociale è passato dall'omosessuale a chi è critico verso l'omosessualità. Non dico che gli atteggiamenti violenti o discriminanti di cui sono stati a lungo vittima i gay fossero giusti, assolutamente no, ma possibile nessuno sia insospettito dal modo così rapido ed estremo in cui le cose si sono (o sono state) ribaltate? E dalla parte centrale che hanno i media in tutto ciò? Prima ad essere omosessuali bisognava vergognarsi, ora bisogna vergognarsi se si pensa che l'omosessualità non sia la forma naturale della sessualità umana. Possibile che si faccia così presto a dimenticare che dietro i media c'è sempre lo stesso potere che ci sta quando approvano e giustificano guerre, sfruttamento, speculazioni, disastri ambientali e "cortine fumogene" di chiacchiere giustificatorie da parte dei politicanti? Una settimana prima del Family Day si sono svolte (preventivamente) le manifestazioni di appoggio al ddl Cirinnà, distribuite su varie città e si è scritto che in totale vi avesse partecipato un milione di persone; difficile calcolo da fare, già su una piazza sola, ed ancor di più dovendo sommare la gente presente su parecchie piazze, grandi, piccole ecc.... Forse anche per questo si sarà scelto di presentarsi su varie piazze? per non rischiare di contarsi in un luogo unico? No, si dirà: è stato per dare un'idea di diversità, di molteplicità, di "arcobaleno"..... Vabbé, lasciamo perdere; comunque è un fatto consueto che i numeri delle manifestazioni vengano sempre gonfiati dagli organizzatori: quelli del Family Day hanno parlato addirittura di due milioni (!!). Avranno sicuramente esagerato, come si fa sempre, del resto. Molto meno comune, però, anzi, la prima volta che lo vedo, francamente, è che su un giornale (ancora La Stampa, in questo caso: http://www.lastampa.it/2016/01/30/italia/cronache/il-family-day-e-la-bufala-dei-due-milioni-J9ILXInTkGDgvqypu6cmiJ/pagina.html) sia stato fatto un conto, dettagliato ed argomentato anche con immagini sia a livello strada che aeree, per dimostrare come sia impossibile che nello spazio occupato dalla manifestazione ci potessero essere davvero due milioni di persone. Sembra che, non potendo negare che davvero tanta gente si è mossa da tutta Italia per mostrare che chi è contrario a questa legge non è poi una così piccola minoranza, ci si sentisse in dovere di dimostrare che non erano poi così tanti e che hanno esagerato i numeri. Ripeto: esagerare questi numeri è ciò che sempre avviene, pubblicare un intero articolo con conti dettagliati per dimostrarne l'esagerazione è successo solo (o quasi) in questo caso. Piaccia o non piaccia, però, il Family Day ha dimostrato che in questo Paese c'è ancora un sacco di gente che non accetta l'idea per cui eterosessualità o omosessualità sarebbero solo scelte e gusti personali, condizionamenti culturali.....e nulla che abbia a che fare con fatti e leggi di Natura, con una polarità energetica femmina-maschio (Yin-Yang) che regola moltissimi fenomeni naturali già molto prima di quelli umani, con qualcosa che preesiste di molto a noi e non è toccata dalle nostre opinioni in merito o dalle mode culturali. L'omosessualità esiste e le persone che la vivono come la propria condizione vanno rispettate. Ma si tratta di una piccola minoranza: non della "normalità" che vogliono farci credere. Quante persone omosessuali conoscete e quanti sono in percentuale su tutte le vostre conoscenze? Vogliamo dire che molti lo sono e non lo dicono (ancora oggi che va così di moda)? Allora diciamo che siano il doppio. E, pure così, quanti sono in percentuale? Forse tutti ci troviamo a pensare che "sarò io che ne conosco pochi, forse vivo in un ambiente sociale ancora un po' antiquato, ma a quanto si dice pare ce ne siano moltissimi". E quindi sarebbe una cosa normale. Normale perché diffusissima. E quindi naturale, sana per lo stesso motivo (lo stesso motivo per cui un transessuale può affermare di essere orgoglioso di fare la prostituta, perché in televisione fa spettacolo e pertanto è diventato ormai un atteggiamento sensato: su quale base? appunto su quella dello spettacolo). Tanto sana che si può accettare tranquillamente che di qui a una generazione i bambini crescano pensando che si possa altrettanto essere figli di un uomo e di una donna come di due uomini o due donne. Ma una cosa non è più giusta o più vera perché la credono molte o moltissime persone: altrimenti Al-Baghdadi sarebbe davvero un'autorità spirituale dalle sue parti o Hitler avrebbe davvero rappresentato e difeso lo spirito non solo tedesco, ma di tutti i popoli che si riconoscevano nella "razza ariana", e cosa dovremmo dire di quei Paesi dove la maggioranza della popolazione è d'accordo che l'omosessualità sia addirittura fuorilegge? ecc... ecc... Per rispettare chi è portatore di una anomalia del comportamento sessuale non c'è bisogno di negare che si tratti di un'anomalia, nel senso di una deviazione dal comportamento che secondo Natura è "normale" ovvero derivante da un istinto primario: basta rispettarlo, cioè riconoscergli il diritto e la libertà di vivere come vuole....naturalmente pure rispettando gli altri ed il loro modo di percepire questa anomalia come tale. Sarebbe semplice, volendo. Ma quando ci si mette di mezzo un'ondata ideologica e vi si sovrappongono speculazioni politiche (certo non solo da parte degli ipocriti che strumentalizzano la buona fede dei partecipanti al Family Day, ma sicuramente anche e non di meno dalla parte opposta) le cose diventano sempre molto più complicate. E il dato di fatto qui è che (a mio giudizio per fortuna) l'idea per cui questa (pur legittima) anomalia debba essere considerata come assolutamente naturale e normale ancora non va giù ad un sacco di gente nel nostro Paese. Si tratta di un'idea molto pericolosa, non tanto per la questione in sé, che fa da cavallo di Troia, ma per quella, molto più grossa, che le sta dietro e che avanza a grandi passi senza essere percepita nella sua interezza. La questione vera è l'affermazione definitiva che non ci sia nulla che possa esser detto NATURALE e distinto da ciò che non lo è; che non esista proprio qualcosa come LA NATURA e con ciò che non esista nulla che sia a fondamento della nostra vita, proprio a partire (non da un qualche Dio-creatore, ma) dal suo stesso modo di funzionare con i limiti che naturalmente ci pone; che non esistano quindi limiti naturali a ciò che possiamo fare ed ai quali non possiamo sfuggire, e che perciò non c'è nulla, che ci preesista come umani in questo mondo, che dobbiamo rispettare e di fronte a cui ci dobbiamo fermare. Questa questione di fondo non riguarda certo solo con chi andiamo a letto e cosa ci facciamo insieme (il che, per quanto faccia molta audience come argomento, è del tutto irrilevante dal punto di vista del discorso che sto crecando di fare). Una volta passata definitivamente questa idea sarà aperta la strada per ogni tipo di esperimento speculativo sulla vita (e certamente a fini di profitto e di potere), dall'ingegneria transgenica agli interventi artificiali sul clima, ad ogni sorta di armamenti ipertecnologici, alla creazione/coltivazione di esseri parzialmente umani e parzialmente non ecc... ecc.... e non resterà più spazio per chi vorrà difendere qualsiasi nozione di limite e di Natura come insieme più grande di noi, in tutti i sensi di cui siamo parte. Questa è la vera questione. Non è probabilmente in questi termini la vera questione che hanno a cuore molti dei politici che difendono il Family Day, che ci si può aspettare sarebbero prontissimi ad oltrepassare ed ignorare questa nozione del limite non appena si passasse a discutere di altri campi, soprattutto economici, ma resta il fatto che dietro le cosiddette unioni civili, matrimoni gay ecc... è questo il mutamento antropologico che si sta, più o meno consapevolmente, facendo passare. E, scendendo alla bassa politica, lo si fa passare con i soliti metodi affaristici che regolano la vita parlamentare. Nessuno ha notato, ad esempio, che proprio alla vigilia della discussione sul ddl in questione, c'è stato un "rimpastino" di governo che ha dato nuove poltrone (tra cui uno specchietto per allodole detto "Ministero della Famiglia") al NCD di Alfano? Proprio quell'Alfano che ha detto di condividere pienamente gli obiettivi del Family Day, "leader" di un partito di cui si dice - senza troppo esagerare - che abbia più ministri che voti, e che, possiamo star certi, non arriverà ad una crisi di governo per opporsi alle unioni civili, ovvero alla fine le farà passare. Se una cosa del genere la avesse fatta Berlusconi sarebbe venuto giù il cielo: ora passa quasi sotto silenzio (certo, è a fin di bene, secondo i nostri "progressisti"). In questa vicenda traspare l'eredità storico-culturale del berlusconismo, proprio nel mutamento dall'assunzione di un ruolo di rottura, alternativo, da parte della comunità gay, al modello che si impone oggi, cioè la pseudo-normalità mediatica del family-gay. Il gay che non se la sente più di assumersi la responsabilità di dire le cose come stanno e pretende che siano gli altri ad accettare che stiano come è più comodo vederle a lui/lei, ribaltando la realtà pur di fargli la vita più facile e permettergli anche ciò che, pur in una società pluralista e tollerante, la Natura non gli permetterebbe (e qui sto parlando dei figli, dato che il matrimonio in sé, con la Natura, non ha niente ha che fare). L'eredità mediatica dello spettacolo berlusconiano, a cui oggi attinge a mani basse la sedicente sinistra progressista laica ed emancipata dalla fase delle ideologie, porta a liberare la trasgressione rendendola normale, ovvero a stravolgere il significato di "normale" estirpandone le radici dalla tradizione culturale popolare legata a quanto di naturale tutti umanamente condividiamo, e collegandolo a quanto è "normalmente" presente su ciò che mediaticamente condividiamo, ovvero a ciò a cui ci è diventato consueto assistere (nostro malgrado, forse, inizialmente) sul mezzo intorno al quale "ci ritroviamo" come passivi spettatori degli spettacoli di intrattenimento ed "approfondimento"(?) sul piccolo schermo. Sullo schermo televisivo, che ha sostituito il focolare davanti al quale l'esperienza dei nonni si trasmettava attraverso racconti e commenti ai nipoti, mentre saliva costantemente il tasso di cattivo gusto, abbiamo visto cadere di giorno in giorno il senso dell'etica fino a farla diventare un ridicolo simulacro di cose superate, scomparse e date oggi perciò tanto impossibili da non poter esser sostenute altro che in modo ipocrita, perché nessuno: sia ben chiaro, nessuno - se non, forse, qualche ridicolo San Giovanni Battista che grida nel deserto, decisamente anti-spettacolare - le segue per davvero. Largo dunque a manifestazioni come il "Gay Pride" (cosa c'è di più spettacolare?) in cui il motivo d'orgoglio io di nuovo proprio non lo capirei se non per le ragioni dette fin qui, ma nel quale ancora sopravvive, forse, un po' del senso originario dell'orgoglio gay. Probabilmente ancora per poco nella sua autenticità: tra poco diventerà un altro circo iconografico, tipo i concerti dei grandi gruppi rock degli anni '70 che ancora suonano ora che di 70 anni ne hanno di età, o la marcia della pace Perugia-Assisi o altre cose simili che servono a far dire "io c'ero" a chi ha ancora il mito di queste cose ed ai ragazzini che son nati troppo tardi per vederle nella loro fase in cui avevano davvero qualcosa da dire. Questo orgoglio non credo fosse tanto quello di dire che essere gay è una cosa normale, bensì il coraggio di affermare di essere come si è e di voler essere accettati e rispettati, ma soprattutto lasciati vivere, per come si è. Come che sia, che piaccia o no agli altri. E spesso nei gay che avevano questo spirito non c'era interesse ad essere o essere considerati normali: c'era la piena rivendicazione del fatto che anche una anomalia ha tutto il suo diritto ad esistere e vivere come vuole. Questo è un principio di pluralismo, di alternativa, e può anche esserne uno di orgoglio nell'autonomia ed indipendenza mentale di rivendicare apertamente il proprio modo di essere. Su questa base il gay come soggetto portatore di una diversità era portatore di un arricchimento sociale: di un passo avanti verso l'accettazione della biodiversità sociale, ovvero nel superamento di quella vocazione tipicamente occidentale all'universalismo per cui dobbiamo sempre trovare e poi imporre un modello unico da imporre come normale e come unico al resto del mondo. Oggi questo si presenta nella sua forma più sottile e dissimulata, il Laicismo, mascherato dietro l'apparente assenza di una forma codificante, ma che va occupando intanto tutto lo spazio mentale e culturale negando l'essere-forma ad ogni altra cosa, l'essere-forma insito in ogni essere umano, in ogni essere vivente, trattando tutto e tutti come principi ed entità astratte, concettuali, interscambiabili ed in-differenziati. Allora tutto diventa normale proprio perché non c'è più alcuna base per dire perché qualcosa lo è o meno: le identità sono creazioni culturali strumentali, le leggi di Natura non esistono, anzi, non esiste neppure la Natura, tutto è produzione della cultura umana ed oggi questa è inseparabilmente mediata dalla tecnologia: il cammino dello sviluppo della tecnologia è la strada maestra dell'essere umano, è portata avanti dallo sviluppo del sistema che conosciamo e che organizza il mondo, il Capitalismo avanzato, liberista, finanziario: nulla gli si deve opporre, nulla realisticamente può farlo: siamo tutti comparse nella rappresentazione del Suo spettacolo. Nessuno può essere, alcun-che. Ma tutta questa è una falsa e strumentale narrazione che si spaccia come liberatoria mentre ci sta ogni giorno di più incatenando ed obbligando a distruggere la vera base della nostra (possibilità di) esistenza, che può darsi solo sulla base della Natura. Per tornare al sesso, basterebbe ricordare, di nuovo, che il sesso come realtà naturale, ovvero la differenziazione sessuale - e non solo tra gli umani, ma nella Natura tutta - esiste perché esistono il maschio e la femmina: dire sesso significa dire maschio e femmina: non si dà sesso, né francamente mi pare possibile immaginarlo, se non come maschio e femmina. Se non ci fosse l'interrelazione maschio-femmina non ci sarebbe interrelazione sessuale, non ci sarebbe sesso; così come non ha senso - è fuori dalla realtà - pensare l'uomo come soggetto a sé, totalmente indipendente dalla donna, e viceversa. La specie umana - e qualsiasi specie sessuata - funziona così: è un dato di fatto, non un'opinione. E per riconoscere ciò non c'è bisogno di vedere il sesso solo nel suo aspetto della funzione riproduttiva: tra gli umani il sesso non è certo solo questo, ha una (quasi) altrettanto importante funzione di comunicazione ed equilibrio energetico, ma anche da questo punto di vista la polarità psico-energetica fondamentale maschio-femmina non è meno basilare o meno connaturata alla dimensione sessuale, anche perché non è scindibile dalla forma fisica che ne è il presupposto. L'omosessualità pertanto esiste, ma non può esistere che come una anomalia. Legittima e da rispettare nelle persone che la vivono, ma una anomalia. È la nostra cultura occidentale che, non potendo tollerare la legittimità delle anomalie in quanto tali, non vede alternative tra il perseguitarle come inaccettabili ed il ribaltare l'evidenza della realtà al fine di integrarle nel proprio sistema. In Natura, invece, c'è spazio per tutto: per il naturale (che è la pulsione primaria) e per l'anomalia (che è una soluzione secondaria), ma non vanno confuse, perché non sono equivalenti in Natura e farlo porta a conseguenze molto gravi: in prospettiva molto peggiori che alcune piccole e marginali innovazioni sociali come ammettere il matrimonio gay ed altre del genere. Come dicevo all'inizio, c'è senz'altro una parziale ragion d'essere in alcuni dei contenuti della proposta di legge sulle unioni civili, non è possibile trattare per legge, ad esempio, due persone dello stesso sesso che hanno passato ed organizzato una vita insieme e che si amano, come dei reciproci estranei. Ma se si accettasse da entrambe le parti di riconoscere che esiste, prima e a monte di noi, un ordine nel mondo - un ordine che è dato dalla Natura e che comunque va al di là di noi e delle nostre opinioni - probabilmente sarebbe molto più facile per tutti anche accettare che al suo interno si possa e si debba trovare spazio per i diritti e la diversità di ognuno.