In questo periodo, di mattina fino a una cert’ora, anche se
non piove, gli olivi sono bagnati di rugiada, dell’umidità della terra e
dell’aria, troppo bagnati per poter raccogliere le olive. I vecchi contadini
che ho conosciuto quando sono arrivato qui trent’anni fa (ormai saranno tutti
morti, pace all’anima loro) dicevano che in questi casi bisogna “portar
rispetto alle piante”, intendendo con questo che non bisognava toccarli, né
raccogliere né (in altra stagione) potarli. Erano abituati all’idea che l’olivo
è una pianta destinata a durare a lungo, non come quelli degli impianti
moderni tutti fitti fitti
programmati per essere espiantati e sostituiti già dopo vent’anni. L’olivo è
una pianta soggetta a diverse malattie crittogamiche e batteriche che con l’umidità
si insediano più facilmente nelle ferite prodotte sulla corteccia dalle scale e
dagli attrezzi per la raccolta. Quindi quando sono bagnati è buona norma non
toccarli.
Allora? Allora bisogna aspettare che si alzino il sole o il
vento ad asciugarli perché noi non lo possiamo fare. Che vuol dire? Vuol dire,
tra l’altro, che la mia giornata lavorativa in questo caso diventa più corta e
minore il suo tempo “produttivo”, cioè destinato a produrre reddito (olio da
vendere, in questo caso). Una giornata intera di raccolta olive normalmente,
tolte tutte le spese e le giornate passate a potare, ho calcolato che mi rende
in media 25-30€, che già non è un gran che, ma in questo caso ancora meno. Nel
frattempo, come in altre situazioni analoghe in cui, per vari motivi, bisogna
aspettare, posso dedicarmi a preparare conserve dall’orto per l’inverno,
cuocere il pane per l’indomani, mettere in ordine la cantina, fare riparazioni,
cercar funghi o leggere libri e, magari, pian piano, forse mi è riuscito anche
di scriverne uno. Del resto, così è: questa condizione da (neo-)contadino che è
la mia qui, non è un “lavoro”, un’occupazione, un impiego; è vita, ed è
un’avventura, in qualche modo. In cui c’è una linea di fondo da seguire, una
falsariga fondamentale che regge tutto, intorno alla quale poi, lentamente,
anno dopo anno, si cerca di mettere insieme tutti i vari pezzi, anche, se la terra
non basta o le risorse scarseggiano, completando il quadro (economico, ma non
solo) con altre attività part-time che possono pure essere del tutto estranee
all’agricoltura. Infatti sono nato in città, nel 1963, sono venuto in campagna
per scelta, e perciò sono un neo-contadino, non uno dei vecchi che erano
qui prima di me e che, purtroppo per loro, difficilmente avrebbero potuto fare
altro, semmai lo avessero voluto. E non di meno sono un neo-contadino e
non un imprenditore agricolo o un agricoltore industrializzato, che è una cosa
molto diversa.
Il rispetto per gli olivi che portavano i vecchi di allora
aveva ben ragion d’essere, lo stesso che erano stati abituati fin da bambini a
rivolgere agli anziani. Certi ricercatori botanici hanno trovato in Sabina
(alto Lazio) piante di olivo tuttora viventi il cui ceppo originario ha 3000
(tremila) anni di età, ma anche senza arrivare a casi di tale eccezionale
longevità (questi erano già vecchi prima che nascesse Cristo) non è raro
incontrare piantoni di olivo secolari e plurisecolari nelle nostre campagne.
Quante cose avranno visto passare queste piante? Com’era il mondo quando loro
erano giovani? Che lingua parlava chi li ha coltivati, e quale era la sua
morale, i suoi valori, come si è sposato? Quanti imperi e rivoluzioni hanno
visto la propria alba e il proprio tramonto durante la vita di questi alberi?
Quest’anno uno di questi olivi dalla lunga storia ha ripreso
a darmi olive dopo non so più quanto tempo che non produceva. Aveva subìto una
forte gelata parecchi anni fa e in seguito devo ammettere che l’ho trascurato a
lungo, era stato assalito e in parte coperto dai rovi. Poi, cinque o sei anni
fa ho ricominciato a prendermene cura, insieme ad altre piante simili poste in
zone marginali del mio campo; l’ho liberato dai rovi, potato per bene e fatto
ogni anno tutto ciò che va fatto per recuperarlo, pur senza raccogliere nulla.
Del resto, un po’ di rispetto glielo dovevo: era qui da un pezzo prima che io
nascessi… e, probabilmente, sarà qui ancora vivo e vegeto molto dopo che non ci
sarò più. Poi, quest’anno, finalmente è tornato a darmi delle olive, e neanche
poche: una bella cassetta da venti chili!
Ho un piccolo Bed & Breakfast a casa ed oggi, mentre
stavo in cima alla scala a cogliere olive proprio da questo albero, l’ospite
che ha preso la camera in questi giorni si è avvicinato per fare due
chiacchiere. Ad un certo punto mi
chiede se secondo me, oggi come oggi, convenga o no fare ancora il contadino su
dimensioni così piccole, poco più che di sussistenza, in modo
semi-tradizionale.
Proprio nel momento in cui pronunciava la domanda, mi è
sembrato di avvertire uno strano fremer di foglie (come dire?) come pieno di
allegria lungo tutti i rami dell’albero.
Arrampicato sopra la scala cerco di rispondergli: per
esempio che, anche se in modi e forme diversi nei luoghi e nei tempi, sempre
aggiornate ed adattate, aggiornabili ed adattabili, è stata comunque l’attività
fondamentale di cui la gente ha vissuto per millenni e non solo qui, ma quasi
ovunque nel mondo e di cui tutt’ora vive gran parte dell’umanità. Gli dico poi
che, per dire se “conviene”, dipende anche se uno si vede come un individuo che
pensa per sé come un’entità isolata (il che non è) o se si considera elemento
di un ecosistema planetario e membro di una umanità che ha quanto mai bisogno
di ritrovare forme di vita sostenibili; che dipende se consideri la convenienza
solo in termini economici o anche di qualità della vita (considerando pure che
ne hai una sola), del cibo che mangi, dell’ambiente in cui vivi, dei ritmi
delle tue giornate, delle tue relazioni personali, del tempo che hai a
disposizione, del senso che trovi in come passi questo tempo; ma, anche se vuoi
considerare solo l’aspetto economico, dipende se lo vedi solo in termini di
denaro o anche direttamente in beni necessari, o almeno utili, che puoi
autoprodurti; ed anche se vuoi considerare solo i soldi, dipende se conti solo
quelli guadagnati o anche quelli risparmiati o dei quali hai eliminato il
bisogno di doverli guadagnare. Poi, alla fine, dipende pure da cosa vuoi nella
vita, da ciò che scegli di considerare per te davvero necessario e ciò di cui
sai fare a meno. E’ sempre una questione di scelte, in fin dei conti. E poi
naturalmente dipende anche dalla società in cui vivi: dalle leggi, dalle
politiche, dal sistema economico e dalla cultura dominante, che potrebbero
crearti condizioni favorevoli a vivere in questo modo, a vivere oggi come
contadino in questa epoca storica o viceversa (come più spesso è il caso)
possono metterti i bastoni fra le ruote ed impedirti in tutti i modi di vivere
e lavorare - per quanto onestamente - come vuoi tu, fino a renderti la vita
impossibile o almeno molto difficile.
Lo vedevo, però, lì sotto alla scala che non era per niente
soddisfatto delle mie risposte fino a che ad un certo punto sbottò: “Va bene,
ma mi pare che ci giri troppo in tondo e che la butti un po’ troppo sul
filosofico così: dammi adesso una risposta semplice e concreta: oggi come oggi,
ad un giovane che deve decidere che lavoro fare nella vita, gli conviene o non
gli conviene secondo te di fare il contadino?”
“Di fare il contadino?”
rispondo riprendendo a cogliere le olive. “No, non gli conviene, lascia
perdere. Ma non è mica un lavoro: è meglio che si trovi un lavoro vero”.
Che domanda stupida!!
L’olivo ancora ride.
Anzi, forse, qua in cima alla scala appoggiata a questo
vecchio albero, a cui basta essere ciò che è, mi sembra di capire: ecco cosa
fanno tutto il tempo gli alberi, mentre espandono i loro rami nell’aria e le
radici nella terra, piantati comunque lì sotto al sole o in mezzo al vento:
stanno da sempre a ridere. A
ridere delle domande come queste che ci facciamo: “mi conviene?”, “ma ci
guadagno?”, o magari perfino “mi renderà competitivo? vincente?
di successo?”
Ah! Ah! Che razza di idee, poveri umani!
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