giovedì 28 novembre 2013

La risata dell'olivo



In questo periodo, di mattina fino a una cert’ora, anche se non piove, gli olivi sono bagnati di rugiada, dell’umidità della terra e dell’aria, troppo bagnati per poter raccogliere le olive. I vecchi contadini che ho conosciuto quando sono arrivato qui trent’anni fa (ormai saranno tutti morti, pace all’anima loro) dicevano che in questi casi bisogna “portar rispetto alle piante”, intendendo con questo che non bisognava toccarli, né raccogliere né (in altra stagione) potarli. Erano abituati all’idea che l’olivo è una pianta destinata a durare a lungo, non come quelli degli impianti moderni  tutti fitti fitti programmati per essere espiantati e sostituiti già dopo vent’anni. L’olivo è una pianta soggetta a diverse malattie crittogamiche e batteriche che con l’umidità si insediano più facilmente nelle ferite prodotte sulla corteccia dalle scale e dagli attrezzi per la raccolta. Quindi quando sono bagnati è buona norma non toccarli.
Allora? Allora bisogna aspettare che si alzino il sole o il vento ad asciugarli perché noi non lo possiamo fare. Che vuol dire? Vuol dire, tra l’altro, che la mia giornata lavorativa in questo caso diventa più corta e minore il suo tempo “produttivo”, cioè destinato a produrre reddito (olio da vendere, in questo caso). Una giornata intera di raccolta olive normalmente, tolte tutte le spese e le giornate passate a potare, ho calcolato che mi rende in media 25-30€, che già non è un gran che, ma in questo caso ancora meno. Nel frattempo, come in altre situazioni analoghe in cui, per vari motivi, bisogna aspettare, posso dedicarmi a preparare conserve dall’orto per l’inverno, cuocere il pane per l’indomani, mettere in ordine la cantina, fare riparazioni, cercar funghi o leggere libri e, magari, pian piano, forse mi è riuscito anche di scriverne uno. Del resto, così è: questa condizione da (neo-)contadino che è la mia qui, non è un “lavoro”, un’occupazione, un impiego; è vita, ed è un’avventura, in qualche modo. In cui c’è una linea di fondo da seguire, una falsariga fondamentale che regge tutto, intorno alla quale poi, lentamente, anno dopo anno, si cerca di mettere insieme tutti i vari pezzi, anche, se la terra non basta o le risorse scarseggiano, completando il quadro (economico, ma non solo) con altre attività part-time che possono pure essere del tutto estranee all’agricoltura. Infatti sono nato in città, nel 1963, sono venuto in campagna per scelta, e perciò sono un neo-contadino, non uno dei vecchi che erano qui prima di me e che, purtroppo per loro, difficilmente avrebbero potuto fare altro, semmai lo avessero voluto. E non di meno sono un neo-contadino e non un imprenditore agricolo o un agricoltore industrializzato, che è una cosa molto diversa.

Il rispetto per gli olivi che portavano i vecchi di allora aveva ben ragion d’essere, lo stesso che erano stati abituati fin da bambini a rivolgere agli anziani. Certi ricercatori botanici hanno trovato in Sabina (alto Lazio) piante di olivo tuttora viventi il cui ceppo originario ha 3000 (tremila) anni di età, ma anche senza arrivare a casi di tale eccezionale longevità (questi erano già vecchi prima che nascesse Cristo) non è raro incontrare piantoni di olivo secolari e plurisecolari nelle nostre campagne. Quante cose avranno visto passare queste piante? Com’era il mondo quando loro erano giovani? Che lingua parlava chi li ha coltivati, e quale era la sua morale, i suoi valori, come si è sposato? Quanti imperi e rivoluzioni hanno visto la propria alba e il proprio tramonto durante la vita di questi alberi?

Quest’anno uno di questi olivi dalla lunga storia ha ripreso a darmi olive dopo non so più quanto tempo che non produceva. Aveva subìto una forte gelata parecchi anni fa e in seguito devo ammettere che l’ho trascurato a lungo, era stato assalito e in parte coperto dai rovi. Poi, cinque o sei anni fa ho ricominciato a prendermene cura, insieme ad altre piante simili poste in zone marginali del mio campo; l’ho liberato dai rovi, potato per bene e fatto ogni anno tutto ciò che va fatto per recuperarlo, pur senza raccogliere nulla. Del resto, un po’ di rispetto glielo dovevo: era qui da un pezzo prima che io nascessi… e, probabilmente, sarà qui ancora vivo e vegeto molto dopo che non ci sarò più. Poi, quest’anno, finalmente è tornato a darmi delle olive, e neanche poche: una bella cassetta da venti chili!

Ho un piccolo Bed & Breakfast a casa ed oggi, mentre stavo in cima alla scala a cogliere olive proprio da questo albero, l’ospite che ha preso la camera in questi giorni si è avvicinato per fare due chiacchiere.  Ad un certo punto mi chiede se secondo me, oggi come oggi, convenga o no fare ancora il contadino su dimensioni così piccole, poco più che di sussistenza, in modo semi-tradizionale.
Proprio nel momento in cui pronunciava la domanda, mi è sembrato di avvertire uno strano fremer di foglie (come dire?) come pieno di allegria lungo tutti i rami dell’albero.
Arrampicato sopra la scala cerco di rispondergli: per esempio che, anche se in modi e forme diversi nei luoghi e nei tempi, sempre aggiornate ed adattate, aggiornabili ed adattabili, è stata comunque l’attività fondamentale di cui la gente ha vissuto per millenni e non solo qui, ma quasi ovunque nel mondo e di cui tutt’ora vive gran parte dell’umanità. Gli dico poi che, per dire se “conviene”, dipende anche se uno si vede come un individuo che pensa per sé come un’entità isolata (il che non è) o se si considera elemento di un ecosistema planetario e membro di una umanità che ha quanto mai bisogno di ritrovare forme di vita sostenibili; che dipende se consideri la convenienza solo in termini economici o anche di qualità della vita (considerando pure che ne hai una sola), del cibo che mangi, dell’ambiente in cui vivi, dei ritmi delle tue giornate, delle tue relazioni personali, del tempo che hai a disposizione, del senso che trovi in come passi questo tempo; ma, anche se vuoi considerare solo l’aspetto economico, dipende se lo vedi solo in termini di denaro o anche direttamente in beni necessari, o almeno utili, che puoi autoprodurti; ed anche se vuoi considerare solo i soldi, dipende se conti solo quelli guadagnati o anche quelli risparmiati o dei quali hai eliminato il bisogno di doverli guadagnare. Poi, alla fine, dipende pure da cosa vuoi nella vita, da ciò che scegli di considerare per te davvero necessario e ciò di cui sai fare a meno. E’ sempre una questione di scelte, in fin dei conti. E poi naturalmente dipende anche dalla società in cui vivi: dalle leggi, dalle politiche, dal sistema economico e dalla cultura dominante, che potrebbero crearti condizioni favorevoli a vivere in questo modo, a vivere oggi come contadino in questa epoca storica o viceversa (come più spesso è il caso) possono metterti i bastoni fra le ruote ed impedirti in tutti i modi di vivere e lavorare - per quanto onestamente - come vuoi tu, fino a renderti la vita impossibile o almeno molto difficile.
Lo vedevo, però, lì sotto alla scala che non era per niente soddisfatto delle mie risposte fino a che ad un certo punto sbottò: “Va bene, ma mi pare che ci giri troppo in tondo e che la butti un po’ troppo sul filosofico così: dammi adesso una risposta semplice e concreta: oggi come oggi, ad un giovane che deve decidere che lavoro fare nella vita, gli conviene o non gli conviene secondo te di fare il contadino?”
“Di fare il contadino?” rispondo riprendendo a cogliere le olive. “No, non gli conviene, lascia perdere. Ma non è mica un lavoro: è meglio che si trovi un lavoro vero”.
Che domanda stupida!!

L’olivo ancora ride.
Anzi, forse, qua in cima alla scala appoggiata a questo vecchio albero, a cui basta essere ciò che è, mi sembra di capire: ecco cosa fanno tutto il tempo gli alberi, mentre espandono i loro rami nell’aria e le radici nella terra, piantati comunque lì sotto al sole o in mezzo al vento: stanno da sempre a ridere.  A ridere delle domande come queste che ci facciamo: “mi conviene?”, “ma ci guadagno?”, o magari perfino “mi renderà competitivo? vincente? di successo?
Ah! Ah! Che razza di idee, poveri umani!




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