mercoledì 6 ottobre 2010

La Decrescita è progressista o reazionaria?

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L’atteggiamento mentale che realizza la decrescita sembra essere per alcuni difficile da capire. Ciò è forse, anche, perché tendiamo ancora a formularlo secondo le vie proprie della Modernità: secondo modelli teorici e categorie culturali per le quali se si riconosce un elemento della realtà si entra nella dimensione etichettata “premoderna/reazionaria” e se se ne riconosce un altro in quella “progressista” dicotomizzata a sua volta in orientata verso la società o verso l’individuo (o come si fa più spesso oggi verso l’uno o l’altro secondo i casi ed ignorandone le contraddizioni).
Credo che il punto con la decrescita sia quello di mettersi su un piano diverso fin dall’inizio e di farlo a partire dal fallimento manifesto delle ideologie dei modelli proprie della Modernità, proprie di una visione astrattista, positivista, con velleità di poter “scientificare” e pianificare tutto. E’ a partire dalla capacità di distinguere tra la nostra capacità di immaginare categorie e modelli e la nostra capacità (ben più modesta) di fare qualcosa di reale che dobbiamo partire. E dalla nostra attuale urgenza di farlo qualcosa di reale, soprattutto per quanto riguarda le nostre vite.
Mi sembra dunque che il messaggio della decrescita si ponga e si proponga su un piano molto pratico, concreto e diretto. Non che non ci sia anche molta filosofia da farci su, volendo. Ma il punto è mettere direttamente in pratica una serie di comportamenti virtuosi che, moltiplicati per tutte le persone (e gruppi di) che li vorranno applicare, possono effettivamente cambiare le sorti del mondo - così come sono le scelte (o non-scelte) di molti che lo stanno spingendo dove sta andando.
Se partiamo da migliaia di comportamenti individuali, di individui che hanno in mente dei valori ed una direzione (la quale non può stare altro che nel futuro, dato che noi viviamo oggi) - ma che sono pure inevitabilmente condizionati dal presente e dal passato che lo ha creato - ciò che ne risulterà sarà quello che saremo capaci di creare ed avrà poco senso stare ad analizzare se, come ingredienti di base all’origine, ci stiamo mettendo più o meno di ciò che può essere etichettato come “progressista” o “reazionario”. Queste sono targhe che appartengono ad un’ottica finita. E finita in quanto è manifestamente non in grado di immaginare vie d’uscita ai vicoli ciechi che ha imboccato.
Credo che non sia interesse del movimento della decrescita (ed ancor meno delle persone che ai suoi contenuti si ispirano) delineare sistemi sociali ideali a cui puntare, ma spingere perché una serie di comportamenti concreti (certo a partire da una precisa consapevolezza) si diffondano e siano riconosciuti sempre di più come praticabili e credibili.
La semplicità delle cose pratiche alla portata di tutti.
La forza delle scelte coerenti e personali.
Se abbiamo un orizzonte a cui riferirci, io credo, non può essere che quello della Natura nei suoi modi di funzionamento fondamentali. Ciò che è con essa compatibile, sostenibile, o meno, è dato dagli ecosistemi, dalle loro funzioni biologiche; la capacità limitata di sopportazione di questi è un fatto, non è un’opinione di destra o di sinistra: non appartiene al passato o al futuro, ma ad un presente su scala cosmica (o, almeno, planetaria): così lungo da essere, per noi umani, eterno.
E’ il criterio-base di un (buon)senso della misura, di un’armonia tra noi e il mondo a cui apparteniamo che dovrebbe restare ad ispirarci oggi che tutte le nostre creazioni teoriche (dalle velleità prometeiche cultura-centriche) sono crollate e che le loro conseguenze pratiche stanno per trascinarci nel loro fallimento.
La decrescita, in fin dei conti, è un fatto di buon senso, di senso della misura, di una basilare saggezza perduta che ognuno di noi può cercare, nella pratica, di ritrovare.
E’ nel fare queste scelte, a partire dal mettere al primo posto il senso della misura insito nella Natura, dalle circostanze concrete in cui per questa via si troverà, dai limiti che questa gli porrà ed il senso che proprio in questi limiti troverà, che ognuno di noi a suo modo, credo, potrà trovare quella giusta miscela di cosiddetto “pre-moderno” e cosiddetto “post-moderno” con cui realizzerà un nuovo presente.

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