....io sono qui su FB per dire quello che penso e non posso fare a meno di notare che tutto questo can can mediatico che si è alzato sul caso di Weinstein [co-fondatore della Miramax, grande casa di produzione cinematografica di Hollywood] e le varie attrici che lo accusano e sparano a zero su di lui mi pare che puzzi tanto di pensiero unico e della rapida estensione del suo dominio a colonizzare l'immaginario di troppe persone. Sarà bene mettere subito in chiaro una cosa fondamentale: non ho nessun dubbio che uno che approfitta del proprio potere nel decidere se una donna lavorerà o meno per imporle dei rapporti sessuali va condannato senza mezzi termini, sia questo nel cinema o in qualsiasi altro campo. Non ho neppure dubbi sul fatto che la violenza sessuale sia sempre e comunque da condannare e che qualsiasi comportamento anche sessualmente provocante da parte di una donna non la può comunque e in nessun caso giustificare.
Detto questo però è innegabile che l'"appeal" sessuale è una delle carte - spesso la più forte - che molte delle donne che possono permettersela giocano per ottenere i propri obiettivi (ciò non significa necessariamente arrivando fino al rapporto sessuale agito; ci sono ovviamente molti modi, molte sfumature e molti livelli): sta nelle cose, ognuno gioca le carte che ha, è legittimo, anche se non è molto onesto né verso le altre donne meno dotate su questo piano (e magari più capaci professionalmente) né come criterio di selezione di chi va ad occupare i vari posti di lavoro; ed inoltre non aiuta il sorgere negli uomini dell'abituarsi ad una considerazione delle donne per ciò che sono come persone. Quindi, alla fine, va a detrimento delle donne stesse, ma tant'è.
Ciò accade in qualsiasi campo e certamente l'obiettivo di avere una parte importante come attrice in una grossa produzione cinematografica è uno di quelli in cui questa carta è più giocabile.
Giustamente si dirà che ciò avviene perché spesso nel ruolo di chi decide della selezione ci stanno dei maschi e questo crea tutto un sistema che, se nel caso di Weinstein adesso è venuto fuori, permea in realtà buona parte del mondo del lavoro e certamente di quello dello spettacolo. E non sempre lo scambio, il do ut des, tra favori sessuali ed occasioni di lavoro - a volte tali da poter cambiare la vita e la carriera - viene estorto nel modo brutale di cui è accusato Weinstein (peraltro da così tante e con circostanze riferite così simili che sembra difficile sia tutto falso). Molte volte semplicemente si capisce che è uno scambio che può aiutare e, se si vuole andare avanti, bisogna accettare che "così vanno le cose". Se si vuole andare avanti fino a certi livelli; livelli non da poco in questo caso. Altrimenti spesso si rimane nel sottobosco del mondo dello spettacolo, nel quale, che ci si debba prostituire fisicamente o soltanto accettando di seguire i gusti della massa, guardando a ciò che è vendibile, o adattandosi alle direttive di chi ci mette i soldi, comunque non basta essere bravi per affermarsi: è una cosa che chi ne ha una qualche esperienza sa molto bene.
D'altra parte si dice che se non ci fossero gli uomini che vanno con le prostitute, nemmeno ci sarebbe la prostituzione. Quindi essi sono corresponsabili anche del loro sfruttamento.
Questo cosa vuol dire? Vuol dire che la realtà di un sistema la fanno tutti quelli che vi partecipano: non solo quelli che lo dirigono e lo controllano. Vuol dire che, a mio modo di vedere, la questione della condanna senza mezzi termini di chi si comporta come Weinstein (ed anche di chi lo fa in modo meno brutale) - che non è in discussione - va separata però da quella della solidarietà verso le attrici che escono fuori adesso a sparare sulla croce rossa, magari a venti anni dai fatti in questione; magari dopo essere diventate star mondiali proprio grazie al sistema di cui Weinstein è uno dei massimi padroni; magari dopo aver fatto non uno ma sette o più film con lui; magari ammettendo che i rapporti sessuali avuti con lui non si sono limitati ad una volta nella quale non potevano fuggire, ma si sono ripetuti in diverse altre occasioni; magari - per alcune - avendo accettato inizialmente soldi per non parlare; magari dicendo che lo stesso le è successo anche con altri produttori - anche in Italia - però che di questi non serve fare i nomi perché non sarebbero più perseguibili legalmente (ma non avrebbe senso ed effetto farli lo stesso a livello d'immagine? o piuttosto è perché non sono ormai bruciati come nel caso di Weinstein e può darsi che capiterà ancora di lavorarci?).
Quindi direi che una cosa è la condanna dei vari Weinstein e tutta un'altra accettare questa narrazione della coraggiosa difesa dei diritti e la dignità delle donne da parte di chi ha fatto la precisa scelta di mettere al primo posto il successo e la carriera e di tutto il resto se ne ricorda ora quando non ha nulla da perdere ormai nel dare addosso ad un personaggio che da rispettato potente (a fianco del quale si facevano fotografare sorridenti) è diventato un "impresentabile".
Ora ci si possono permettere anche frasi tipo "devi avere una lenta agonìa, non meriti nemmeno una pallottola" che, dette, ad esempio, all'indirizzo di capi di Stato responsabili (negli USA ne sanno qualcosa) di ben altri crimini (migliaia di morti) suonerebbero come minacce terroristiche e sarebbero perseguite di conseguenza.
Ciò che fa effetto in questo come in altri episodi pervasi da un analogo scandalo mediatico è l'ondata unitaria ed omologata con cui i media spianano la questione in una visione che vuol apparire convincente, semplice, chiara e netta rimuovendo l'altro lato da cui la si può vedere: il fatto che queste attrici abbiano accettato (e non una sola volta fisicamente costrette; e non per poi subito sottrarsene e denunciare) il do ut des del potente produttore viene messo da parte come fosse in-significante. Come se dovessimo accettare tutti, cioè, che se ciò era necessario per far carriera, se tale è il modo in cui il Mercato in questo specifico mondo (ma a ben vedere non solo in questo) funziona, in primo luogo ci si deve stare; se no non si va avanti. E allora solo chi è arrivato poi "avanti" potrà denunciare. Ma quando le circostanze glielo permettono nel ruolo del vincente, però.
Il che colpisce il capro espiatorio, ma non mette in questione il sistema. E non è solo il sistema dei maschi che sottomettono le femmine, ma anche il sistema che chiede a tutte e a tutti (in modi diversi) di offrire scelte di vita e dignità se si vuole inserirsi ed ottenere risultati.
Per quelle che non ci sono state fin dall'inizio resta il sottobosco dei perdenti, che si dovranno accontentare, nella migliore delle ipotesi, di far un lavoro per passione e di contare solo su quanto lo sanno fare. O addirittura - più spesso - di dover cambiar mestiere. Ma allora le loro non appariranno più come nobili denunce, ma solo come lamentele, forse un po' invidiose e certamente prive di interesse per i media.
Così come in campo economico le (contro)riforme che vanno in senso liberista riescono meglio (vengono più accettate da chi le subirà) quando a farle sono governi "di sinistra", nello stesso modo la formazione di un pensiero unico, omologato e omologante, passa in modo più efficace ed al tempo stesso più in sordina, meno percettibilmente, se si associa a idee che hanno un'origine legata ad istanze e movimenti alternativi, libertari, a giuste cause per i diritti civili ed il rispetto delle persone. Legandosi a tali istanze, cose che invece - secondo i casi - non c'entrano nulla o almeno non ne discendono affatto necessariamente, passano come dirette conseguenze di esse, come loro corollari e perfino come loro ulteriori avanzamenti e riescono a mantenere esteriormente l'"appeal" di qualcosa che sa di libertà, di pensiero critico e di "alternativa", mentre contengono al contrario i germi di qualcosa che è omologante e destinato a svilupparsi in direzione del tutto opposta.
Esempi di questo non casuale equivoco li troviamo in molte delle questioni che tengono banco quotidianamente sui media: quando si tende a presentare l'immigrazione solo nel suo aspetto di emergenza umanitaria e come problema culturale di chiusura al diverso, ma si dimentica o si minimizza il fatto che si tratta di un fenomeno niente affatto voluto spontanemente da chi vi è coinvolto, niente affatto mosso dalla volontà di costruire una nuova società globale multietnica-multiculturale, bensì subìto, sia dai migranti che dagli ospitanti, come conseguenza di un sistema di potere e sfruttamento globale che produce povertà, guerre ed emergenze climatiche; oppure quando si passa dalla giusta difesa dei diritti degli omosessuali a vivere come sentono di fare, senza dover temere discriminazioni e violenze, alla propaganda dell'idea per cui la base biologica naturale che ci fa maschi e femmine sia del tutto irrilevante - e con essa qualsiasi nozione di base naturale della realtà - che contino solo le nostre opinioni ed i fattori culturali anche su questo e che chi mette in dubbio un tale assunto (ormai quasi un dogma) debba automaticamente essere tacciato di "omofobia" (e di conseguenza considerato alla stregua di un fascista); o ancora quando si inventa la minaccia di turno delle "fake news", come fossero un attentato alla libertà di informazione e si pensa a come perseguirla legalmente imbavagliando il web, mentre non si tiene conto di quante fake news sono state propinate dai grandi media ufficiali con conseguenze tali perfino da scatenare guerre (inizio guerra del Vietnam, presunte armi di distruzione di massa in Iraq...) o da propagandare prodotti di consumo di massa poi rivelatisi mortali (l'eroina era inizialmente una medicina della Bayer; l'amianto presente in moltissimi materiali per decenni...).
Possibile non venga mai in mente di chiedersi - quando ci si rallegra che i media "si battono" per alcune idee progressiste in materia di diritti civili e political correctness - com'è che siano tutti così unanimi su certi argomenti? e com'è che l'analisi, la discussione sia sempre così semplificata? e i rappresentanti di alcune posizioni non parlino mai? e com'è che si tratti degli stessi media che a volte sembrano stare invece dall'altra parte quando acconsentono a giustificare guerre imperialiste o politiche economiche che vanno evidentemente a vantaggio dei potentati finanziari globali e a detrimento della gente comune? Non si pensa - quando si sentono ripetere senza sosta questi "valori laici" verso la costruzione di una società più giusta (e magari più moderna, più "smart", 2,3,4.0 o non so cos'altro) - che, dietro, i padroni di questi stessi media sono sempre gli stessi?
È una "società dello spettacolo" e bisogna farsi qualche domanda in più oltre ciò che a prima vista può apparire giusto o sbagliato: un esercizio al quale questo sistema delle opinioni "pret-à-porter" ci ha disabituato.
Per questo non sono per il "cambiamento della società": non che non vorrei vivere in una ben diversa da quella attuale, ovviamente lo vorrei e molto! Ma in questo epilogo della Modernità Occidentale [per una discussione ampia sulla Modernità Occidentale e quello che considero il suo "vizio" di fondo rimando al mio libro "L'alternativa neo-contadina"] in cui si sta mostrando tutta la sua insufficienza, la sua impotenza ad arginare o contrastare le conseguenze disastrose delle mille contraddizioni che ha creato (mentre invece continua a crearne sempre di nuove in tutto il mondo) dovrebbe apparire sempre più chiaro che il sentirsi partecipi ed impegnati per il fatto di seguire e partecipare agli infiniti dibattiti politico-culturali sull'analisi delle cause di cosa va male e sui progetti più validi per cambiare "la società" ha sempre più la funzione di un palliativo, di uno specchietto per le allodole, di un depistaggio che serve a trattenere le persone nello spazio del virtuale e pertanto - non a caso - permette che passino come plausibili idee "di principio" apparentemente giuste ma che non tengono conto della concretezza e della complessità della realtà.
E quindi che senso ha accettare che "purtroppo è così che vanno le cose" ed assoggettarvisi (traendone con ciò i benefici e partecipandovi) per poi farsi belli condannando a parole e nel modo più duro possibile ciò di cui si è stati compartecipi quando ciò non costa nulla?
Per questo non sono per il "cambiamento della società", perché perlopiù si tratta di chiacchiere che lasciano il tempo che trovano: sono per il cambiamento degli individui, che è l'unico modo certo ed autentico per cambiare le società. Solo che questo richiede cose alquanto fuori moda quali sincerità, coerenza ed alcune rinunce. Cose con le quali in questo mondo non si va molto lontano in termini di successo, ricchezza, potere: non si è né "fighi" né "cool".
Perciò, per quel poco che può valere la mia opinione, mi unisco senza dubbio alcuno alla condanna di Weinstein, dei molti come lui, dei loro metodi e prepotenze e con essi di molti aspetti di ciò che regola lo show business. Ma non sento alcuna solidarietà per queste attrici, star internazionali che devono il loro successo a questo stesso show business di cui sono parte integrante per loro scelta e lo devono a tutti i comportamenti concreti che hanno scelto di praticare in modo che le portassero fino al punto in cui sono oggi. Applaudite da spettatori questa volta così superficiali da non vedere che è una recita pure questa...ed anche un po' ipocrita stavolta.
1 commento:
Sputare nel piatto nel quale le squalesse del potere hanno mangiato e fatto carriera.
La ortodossia della cacca politicamente corretta ci sguazza in questa broda, ci cresce e la alimenta.
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